E' un buffo privilegio, quello di fare i turisti nelle proprie terre d'origine. Quello di guardare casa tua con la giusta distanza. Abitare sempre nello stesso luogo ti porta a fare il callo su tutto. A non accorgerti delle piccole meraviglie quotidiane così come di difetti terrificanti.
Venerdì sera sono stata ospite a Vigevano della mia amica C., una donna colta e pragmatica che - per professione e formazione - è un cicerone d'eccezione.
La piazza di Vigevano (perdonerete la fotografia scattata con il cellulare) è un gioiello d'arte di cui la provincia di Pavia può andar fiera; un salotto a cielo aperto che incanta sempre. Complice però una guida preparata e indigena, è stato facile andare oltre questa piazza, assecondare la mia curiosità urbana, passare ore con il naso all'insù, entrare in corti private e scoprire mondi sommersi tra i vicoli del centro storico, o ancora scoprire come la realtà multiculturale si sta declinando in questa cittadina.
Poi c'è stato l'esilarante incontro con la comunità locale, dove la mia fama mi aveva già preceduta a causa del post sui cantucci salati.
Inaspettato show dopocena all'Antico caffé Ducale, dove sono spuntati, come conigli da un cappello, nell'ordine: un simpatico barista, sveglio e attento ai suoi clienti, un geniale poeta maledetto e - last but not least - il playboy del Sarrabus, ovvero un sardo a metà strada tra Antonio Banderas e i Tazenda.
Da ripetere.
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