giovedì 20 agosto 2009

Una lettura Capalb-idiota



Di solito non perdo tempo a "demolire" dei testi, se non li amo. E' un fatto soggettivo, ne sono consapevole, quindi evito di farlo. Preferisco raccomandare testi che ho amato, piuttosto che il contrario. Stavolta però la lettura da ombrellone de "L'era del cinghiale rosso" di Giovanna Nuvoletti (ed. fazi) mi ha lasciato il retrogusto della frode letteraria... sì, insomma, è una di quelle rare vole ti cui mi verrebbe da dire "A RIDATEME I SOLDI!" E quindi, eccomi... pur con tutti i limiti della soggettività del giudizio.

L'ho acquistato allettata da un lungo servizio apparso il 25 luglio su Io Donna, servizio in cui peraltro Cristina La Cava definiva il lavoro della Nuvoletti delizioso; ma il libro - per me - si è rivelato una vera e propria delusione. Lo chiamo "libro" e non romanzo volutamente, in quanto lo reputo un testo con debole pretesa romanzesca che finisce troppo spesso ad essere rivista gossippara da un lato e autobiografia con ritratto di famiglia dall'altro. Derive che hanno la conseguenza di rendere il testo irritante quando autocelebrativo e brutto quando gossipparo. Irritante soprattutto quando l'autrice parla di sé in terza, narrandoci le proprie gesta sociali o incensando la famiglia del marito. Meglio sarebbe stato avere il coraggio di scrivere in prima persona una bella saga familiare autobiografica ambientata a Capalbio. Brutto perché 18 euro per pagine e pagine di nomi e cognomi e poca storia sono davvero troppi. Sono troppi anche per un elenco di nomi di luoghi descritti solo sommariamente, pertanto inutili a chi Capalbio non la conosca. Ma forse è proprio lì la questione: più che un romanzo, magari è solo un divertissment celebrativo tra amici che hanno passato tante estati insieme, un house organ di una comunità. E se così fosse, Fazi, peccato sprecare un codice ISBN.