domenica 7 dicembre 2014

Threef n. 8: i baci di Alessandria (o quasi) e il finger food


Puntuale come un brufolo dopo la nutella, la rata del mutuo e il canone Rai ... ma al contrario di tutto ciò, gradevole e gradito... il primo dicembre è arrivato il nuovo numero di Threef. Il n. 8.

Un numero dal profumo di convivialitá invernali e che cede piacevolmente alla tentazione di mood natalizio, una sorpresa anche per me, in deroga alla laicità che io stessa mi aspettavo.
Tema di questo numero trimestrale, su issuu da dicembre, è il finger food.
Mi sono persa a guardare le sfiziose proposte delle mie "colleghe", una più bella dell'altra.
E ho pensato, sfogliandolo virtualmente, che sì insomma... sto finger food non è poi così male. Anzi.

Perché qui mi vedo costretta a fare outing. Almeno a parziale giustificazione del mio miserrimo contributo a questo Threef.
Ebbene sì. Non ho simpatia per il finger food, quanto meno mettendomi nella prospettiva di chi deve prepararlo. Il finger food è una di quelle preparazioni che, nella mia dissacrante lettura, presenta un sacco di limiti, a titolo esemplificativo:
- richiede un monte di lavoro di fino allo chef, senza però creare quel momento di riconoscente silenzio che si avvertirebbe appoggiando una pirofila al centro tavola
- implica un consumo di tovaglioli di carta ambientalmente irresponsabile
- costa di più in bicchierini usa e getta che in materia prima alimentare
- per quanto se ne faccia, finisce prima ancora che tutti abbiano potuto avvicinarsi al buffet.
Quando la padrona di casa riuscirá a raggiungere i commensali, tendenzialmente troverá solo stuzzicadenti abbandonati e una pletora di occhi che la guarderanno come per dire: e ora, cosa c'é per cena ? La carbonara quando arriva ?
E dunque: finger-food-no-grazie.

Sebbene ogni tanto prepari mono porzioni, mini quiches o i mitici panini scugnizzi, per me non c'è nulla di più conviviale di una teglia di lasagne, di un tiramisù da servire a cucchiaiate. Non sará pratico ma è voluttuoso, e trovo un gesto d'affetto portare in tavola una cocotte in ghisa con un arrosto fumante. C'è poco da fare. Il finger food per me rende una festa con le vecchie zie non diversa da un buffet congressuale.

Certo è che quando i commensali superano il numero di sedie disponibili, il finger food è una scelta quasi obbligata.
Ecco dunque che le idee di Threef sono un grande assist, a maggior ragione in vista delle feste. Che riesce a convincere pure me.

Il mio contributo è stato stimolato dalla mia amica Clara, che lo scorso anno di questi tempi si era ostinata a voler riprodurre dei baci vagamente simili a quelli tradizionalmente venduti alla pasticceria Gallina di Alessandria. "Baci al cioccolato, grandini e ovaleggianti".
Questo fu il suo briefing. Ci mettemmo all'opera e uscirono proprio i baci che raccontiamo su Threef. Nulla a che vedere con gli originali, probabilmente, ma di sicuro un omaggio a loro.





I baci di Alessandria (o quasi)

Per i biscotti
150 g di farina
100 g di nocciole tostate
120 g di zucchero di canna
100 g di burro
1 cucchiaio di cacao amaro
1 cucchiaio di rum scuro
1 bustina di vanillina (o un cucchiaio di aroma vaniglia)
1 pizzico di sale - per la farcitura

100 gr di crema spalmabile al cioccolato fondente  (io ho usato la mia, questa qui)


In un robot da cucina versare le nocciole e frullarle, eventualmente a intermittenza, sino a ridurle in una farina cremosa.
Aggiungere zucchero e burro a tocchetti, azionando di nuovo il robot per amalgamare.
Aggiungere farina, cacao, vanillina, rum e sale.
Azionare di nuovo il robot sino ad ottenere una consistenza simile ad una frolla.
Raccogliere l'impasto, compattarlo a mano e riporlo in frigo, avvolto nella pellicola, per  15 minuti. Accendere il forno in modalità ventilata e portarlo a 160° (regolarsi col proprio forno per tempi, temperature e modalità di cottura).
Riprendere l'impasto raffreddato e modellarlo in un lungo cilindro di circa 2 cm di diametro.
Tagliare il cilindro a metà, e dividere ogni metà in due, procedendo avanti così sino ad avere dei tocchetti uguali e in numero pari, come per fare gnocchi di patate.
Dare all'impasto una forma di biscotto ovale, di dimensione più grande dei baci di dama.
Disporre i biscotti su una teglia coperta di carta forno e infornare per circa 25 minuti.
Sfornare e non toccare i biscotti sino a completo raffreddamento.

A questo punto accoppiarli, farcendoli con un po' di crema spalmabile al cioccolato.
Ma "non così tanta !  Mica sono dei Ringo !" mi ha rimproverato Clara.







sabato 8 novembre 2014

Conchiglioni gratinati ai funghi e tartufo della Lessinia (e pillole d'ignoranza)


La stampa narra che l'Italia abbia guadagnato il primato dell'indice internazionale di ignoranza.
In realtà i titoloni in settimana erano civetta, facevano pensare a un paese leader in idiozia, ma a ben guardare si trattava di una valutazione del livello di "ignoranza sui flussi migratori".
Non che la cosa sia rassicurante, ma almeno rende la fenomenologia più circoscritta.

Poi però penso a cosa mi succede ogni giorno, per strada, quando e mi rendo conto quanto siamo ignoranti. Anzi, 'gnurant. diciamolo alla lombarda, che rende bene.
Che non è l'ignoranza da bassa scolarità.
E' proprio l'ignoranza sociale, la piaga di questo paese.
La diseducazione civica.
La stupidità dilagante.
La strafottenza.
L'insensibilità.
La mancanza di rispetto per tutti e tutto.
La vista corta, molto corta.
L'atteggiamento chiagneffutti che da furbizia è diventato pura prepotenza.

Basti pensare a domenica scorsa... cosa ho osservato nello stretto giro di un'ora d'orologio, sui treni.


Nella tratta tra Genova e Milano, esattamente a Rogoredo, una signora molto anziana e malridotta, con parecchio bagaglio al seguito comincia a guardarsi attorno preoccupata. Quella che batte sul vetro della porta mentre il treno riprende inesorabile la corsa è sua figlia. E ovviamente non parlo di una adolescente. Scesa a fumare, ha perso il treno e la mamma è rimasta su. Sola e spaventata. Per fortuna ha trovato delle brave persone sul vagone. Due studenti universitari, due amiche ispaniche e la sottoscritta.
Nel tratto Rogoredo-Centrale abbiamo cercato di chiamare la figlia più volte al cellulare, ricavando il numero dalle etichette sulle valigie (perché la mamma era senza un cellulare né sapeva il numero della figlia... altro genio).
Morire se la Carla, la figlia mentecatta, abbia risposto.
L'abbiamo accompaganata sotto braccio alla polfer portandole tutti i bagagli - i suoi e della Carla. E consegnandola nelle mani delle divise blu, visibilmente spazientite dall'ennesimo caso sociale della giornata.
Chissà se sono riuscite a prendere la coincidenza per Bologna. Se la Carla avrà avuto il guizzo di saltare sulla prima metro e raggiungere la mamma supponendo di cercarla in Centrale.
Cambio treno, salgo sulla freccia per Verona. E' l'ora, ma il treno non parte. Sembra un guasto. Non ne vengono a capo. Dopo 15 minuti il capotreno arriva in carrozza con un tecnico e dice "eccolo li", indicando in alto.
"Signora questo non è un attaccapanni". Una tizia ha visto bene di appendere il suo cappotto al freno d'emergenza.
Se fossimo stati in Svizzera, suppongo le avrebbero preso i dati e le avrebbero dato 1000 € di multa per procurato allarme e  interruzione di servizio pubblico. Qui non succede nulla.
Ma se ti capita di dover cambiare treno perché hai perso una coincidenza per un loro ritardo, o perché una stronza ha appeso il cappotto al freno, hanno il coraggio di chiederti otto euro.


Conchiglioni gratinati ai funghi e tartufo della Lessinia

Per una pirofila del diametro di 23 cm
250 g conchiglioni da ripieno
20 + 20 g olio e.v.o.
1 tartufo della lessinia
30 g porcini secchi
1 spicchio d'aglio
300 g champignon a fette
1 ciuffo prezzemolo
50 g monte stagionato grattugiato + 10 per la gratinatura
3 cucchiai di ricotta
250 g besciamella

Cuocere i conchiglioni tenendoli al dente; scolarli e metterli da parte con un po' d'olio perché non si attacchino.
Nel frattempo mettere i porcini a rinvenire in acqua tiepida, poi scolarli e strizzarli.
Preparare il ripieno:
In una padella capiente, soffriggere l'olio, lo spicchio d'aglio intero, un po' di tartufo grattugiato per un paio di minuti.
Aggiungere anche i porcini secchi sminuzzati e proseguire a rosolare un altro paio di minuti.
Togliere lo spicchio d'aglio, aggiungere al soffritto, senza proseguire la cottura, gli champignon, il prezzemolo e il formaggio e mescolare. Salare e pepare, poi frullare il composto a freddo senza ridurlo però troppo in crema. Aggiungere la ricotta e amalgamare ancora.
Riempire i conchiglioni con il composto.
Disporre la pasta ripiena, con i tagli rivolti all'insù, in una pirofila con il fondo leggermente unto da un paio di cucchiai di besciamella.
Versare sulla pasta la besciamella rimanente, alcune scaglie di tartufo e una spolverata ulteriore di formaggio.
Infornare per 20' a 180°.
Prima di servire, aggiungere altre scaglie di tartufo.
Se si vuole rendere il piatto completamente vegano, basta evitare la ricotta e sostituire la besciamella con panna di soia, aromatizzandola con un po' di sale, pepe e noce moscata.

Per preparare il ripieno nel bimby:
Inserire 1/3 del tartufo e polverizzarlo con qualche colpetto a turbo; portarlo sul fondo del boccale con la spatola, aggiungere uno spicchio d'aglio e l'olio, poi soffriggere 2'/100°/vel. 1. Aggiungere i porcini strizzati, cuocere ancora 2'/100°/vel. 1.
Togliere lo spicchio d'aglio e inserire champignon, formaggio, ricotta, foglie di prezzemolo, sale e pepe. Frullare 30" / vel. 5.

L'idea in più: aggiungere all'acqua di cottura della pasta un po' dell'acqua di vegetazione dei porcini secchi, opportunamente filtrata.

domenica 19 ottobre 2014

Serena alienazione e bocconcini morbidi di farro e patate
























Questo per dire che un post al mese non è fiacca, ma è un miracolo organizzativo di cui anche io stessa mi stupisco.
E un run rate che non posso assicurare nei mesi a venire.

Ecco perché è evidente che il lievito madre non fa per me.


lunedì 1 settembre 2014

Threef n. 7: edibili resti e la cucina del recupero. Una cesar salad, o quasi.



L'esperienza Threef prosegue e ci accompagna verso l'autunno con un numero a tema sostenibile.
E siamo al numero sette. Anzi otto, contando anche il numero zero.
Come passa il tempo.
A me questo Threef accompagna nel primo autunno dei miei "anta", mentre litigo con le distanze tra appunti e tastiera. Gli occhiali da lettura, ahimé, arrivano la prossima settimana.
Mi sembrava ieri che spalmavo l'antiacne ed ormai è già troppo tardi anche per l'antirughe.

Segno del tempo, o meglio dei tempi, anche il filo conduttore di questo Threef.
Un numero anticrisi, antisprechi: il recupero e la rielaborazione creativa degli avanzi.
E vi assicuro... sfogliando quelle pagine, nessuno penserà a frigoriferi tristi, avanzi dispari da appaiare.

Il punto di partenza per me è il pollo allo spiedo. Del giorno prima.

Sì, quello che avete preso in rosticceria al volo, alle 19:29, macchina parcheggiata (se così si può dire) da circo in obliquo sul marciapiede.
Quel pollo allo spiedo troppo frequente, emblema triste della vita di lavoratore troppo full time.
Fortunatamente il mio pollivendolo resta aperto sino a tardi e vende il "pollo intero tagliato" - così recita il cartello, giuro - a 0.15 € in più del semplice "pollo intero". Che i servizi si pagano.

Non so a casa vostra, ma da me non c'è mai una benedetta volta in cui non avanzi un po' di petto.
(Quasi tutti gli utenti nel mondo della rosticceria da asporto sognano un pollo allo spiedo quadrupede).
La mia proposta è un'idea per rivisitare il classico avanzo di pollo allo spiedo e trasformarlo in una cesar salad di polpette morbidose.






Ceasar salad rivisitata
(per 4 persone, circa 40 polpettine)

Per l'insalata con polpette

1 cuore di lattuga gentile
Cubetti di pane
Scaglie di parmigiano
1/2 pollo allo spiedo avanzato (250 di polpa)
120 g patate al forno avanzate
1 spicchio d'aglio schiacciato
1 cucchiaio worchester
1 cucchiaio succo di limone
50 g parmigiano grattugiato
qb sale e pepe
1 cucchiaio di farina
1 cucchiaio pangrattato
qb olio e.v.o.

Nel mixer frullare il pollo, le patate, l'aglio, il parmigiano, la salsa, il succo di limone, sale e pepe sino a rendere il tutto abbastanza amalgamato e lavorabile.
Formare piccole polpettine e passarle nel mix di farina e pangrattato.
Rosolarle circa 8 minuti in una padella antiaderente con olio caldo, scuotendola spesso perché le polpette si dorino da tutti i lati.
Mettere da parte e nel fondo di cottura tostare il pane a cubetti.
Servire le polpette tiepide sull'insalata, accompagnando con scaglie di formaggio e i crostini di pane.


Per il dressing
200 ml yogurt bianco
2 foglie lattuga
1 cucchiaio senape
1 cucchiaio worchester
2 cucchiai parmigiano grattugiato
1/4 spicchio d'aglio schiacciato
qb sale e pepe

Frullare tutti gli ingredienti per accompagnare l'insalata.




Buona serata e buona lettura con questo nuovo numero di Threef !

martedì 26 agosto 2014

Rientro alla base e cronache dal forno. Le patate Hasselback con...


Sebbene la mia estate sia stata "casalinga", senza grandi spostamenti né partenze, è stata un'estate a fornelli spenti.
Non ero a casa mia e non ho avuto occasione di affrontare nemmeno il primo item della lunga lista di "ricette da provare" che mi ero appuntata in un anno di sciopero dei fornelli per overlavoro.
Un po' frustrante da un lato, sicuramente riposante dall'altro. Il lato migliore, peraltro.

Cervello a emissioni zero, lievissima abbronzatura a forma di ciabatta Madrid Birkenstock sui piedi, tre ricettari, un romanzo e un gatto (quando non tre) a fianco della sdraio o sul divano.
Quali i libri in borsa ?
Romanzo per signora, di Piersandro Pallavicini
Wok, di Barbara Torresan
Pasta madre, di Riccardo Astolfi
Around Florence, di Csaba Dalal Zorza
e l'immancabile rispolvero agostano di Summer holidays.
Tanta pioggia sul Lago di Garda, da non vedere la sponda bresciana.

Sono rientrata a casa domenica con un mazzo di rosmarino e salvia presi dal giardino del ciclista e la voglia insoddisfatta di spadellare, magari mettendo in forno un secondo non proprio estivo. E così ho fatto.

Al secondo ho abbinato un contorno svedese "storico": le scenografiche patate hasselback.
Le patate dell'IKEA, come le chiamo io. Che è più una ricetta da metro di carta svedese che da mestolo.

Le ho tagliate, le ho aromatizzate con olio, le erbe aromatiche prese al lago, sale maldon affumicato e posizionato su fette di pancetta arrotolata, prima dell'ora di cottura al forno a 200°.




C'è un trucco tecnico per fare il taglio perfetto: far passare uno spiedino alla base della patata, a meno di un centimetro dal fondo, per il senso della lunghezza. Lo spiedino, che andrà poi rimosso prima della cottura, serve ad arrestare la lama del coltello in maniera sicura e uniforme, permettendo un taglio a ventaglio più sicuro.
Io ho usato il sottilissimo e lungo ago del cake tester.
Valentina, mai regalo apparentemente più inutile si rivelò poi così utile.
Avresti pensato che ci avrei fatto mesoterapia ai tuberi ?

Faccio un regalo a chi indovina che secondo ho preparato.


Torri del Benaco, Verona,  agosto 2014








mercoledì 20 agosto 2014

Del riso non si butta via niente. Risotto reloaded (al salto)


Il mondo è bello perché è avariato, diceva mio nonno.
Sebbene viva in terra di buoni risi (a Verona compro il vialone nano di Ferron), io il carnaroli continuo a comprarlo a Pavia. Per affezione, per campanilismo.
Lo prendo nell'azienda agricola di Franco Calcaterra, Castello di Mirabello - Cascina Bompiumazzo, e lo esporto abusivamente in dosi prossime al consumo personale a Verona.
Un souvenir per le mie amiche che hanno imparato ad apprezzarlo.
E se avessero visto il coltivatore, apprezzerebbero anche lui, che con quegli occhi blu cielo riflesso in risaia è più belloccio di Ferron.
Quando a Verona il carnaroli omaggiato finisce, mi giungono richieste di re-supply.
A quelle giunte in tarda estate ho sempre nicchiato, rimandando in attesa del nuovo raccolto.
Che mi sembrava cosa sensata.
Per ottobre ci sono i nuovi arrivi, collezione autunno-inverno.
Anche le tele dei sacchetti con cui è confezionato cambiano fantasia ogni anno, e per fortuna qui non va l'animalier.

Al mond l'è bel parché l'è avarià.
Leggo che spopola un riso carnaroli piemontese invecchiato, anche sette anni. Come il Jack Daniels. E' ricercato dagli chef, pregiato per la lavorazione e la resa.
Tant'è che lo trovi in vendita a prezzi folli nei posti fighetti, mica al supermercato. In libreria lo compri, mica all'A&O.
E io che il carnaroli di Franco, quando è passato di scadenza, lo butto.
Che pirla.
Adesso che lo so lo travaso, lo porto in soffitta e ci pensiamo nel 2020.
Che qui, non è tempo di sprechi.

A proposito di sprechi, a Pavia, il riuso del riso avanzato non si chiama arancina, non si chiama supplì.
Si chiama riso al salto e credo possa essere considerato il cugino nordico della frittata di maccheroni napoletana.
Un piatto così tradizionale e gustoso da perdere la denotazione di piatto di risulta e da entrare orgogliosamente in carta anche nelle osterie locali, come dal Giugaton.

E poi, si prepara molto semplicemente.

Con il risotto avanzato che si ha. Giallo, con la salsiccia, con i funghi...
Non serve null'altro che dell risotto avanzato, olio, burro e una padella antiaderente.
A me piace il "monoporzione", facilmente gestibile con una coppia di padelline se si è solo in due.

Si fa sciogliere un mix di olio e burro in una padella di dimensioni proporzionate alla quantità di riso avanzata.
Una volta caldo, si sposta un attimo dal fuoco, si trasferisce in padella il riso avanzato schiacciandolo leggermente con le dita bagnate, per compattarlo a mo' di tortino e si rimette sul fuoco.
Si lascia rosolare il riso senza toccarlo (al massimo solo scuotendo leggermente la padella) sino a far formare una bella crosticina arrostita; a questo punto, aiutandosi con un piatto, lo si rovescia e si prosegue la cottura anche dall'altro lato.


lunedì 4 agosto 2014

I cracker, il forno acceso e i nani da giardino






Sabato sera a cena gli amici ci raccontavano della querelle nata da una pubblicità televisiva di IKEA, ritirata perché aggressiva nei confronti dei nani da giardino.
Potere del comitato di tutela dei nani in questione che, scopriamo, in certi paesi ottiene di più dalla controparte di quanto possa ottenere il comitato delle vittime di mafia in Italia.
A riprova, basti pensare che i nani da giardino in Italia  sono stati collocati in uno spot ad annusare fosse biologiche, e nessuno ha fatto nemmeno una pince a loro difesa. Neanche un plissé.

Dopo questa, io comincio ad avere paura per il mio nano con pala. Spalamèrdolo, così si chiama (essendo un regalo tra colleghi), da anni non vede un bosco o un filo d'erba, perché vive sulla mia scrivania.

Nella speranza che Spalamèrdolo non mi venga rapito, ritengo sia invece ora di costituire un comitato di liberazione di muffin dolci e cupcakes.
Un movimento gastro-anarchico-surrealista che li faccia sparire dalle cucine, dalla TV e dai blog e che li liberi nel loro habitat naturale, ossia il sacco dell'umido.

Di norma i mesi estivi ci graziavano. A forno spento, per tre mesi ce ne liberavamo dai coglioni.
Ma quest'anno no.

Se il blogroll pullula di prodotti da forno a fine luglio - inizio agosto e la colpa non è di un contest a tema o del MTC, significa che è un'estate balorda.
E, ultimamente, nella mia lista delle letture appaiono più crostate che mozzarelle, più muffin che paste fredde. Le quotazioni della melanzana reggono, ma il più delle volte anch'essa esce dal forno. Magari in un muffin salato.

In quest'estate un po' così, una di quella estati in cui il gatto sulla pancia la sera non ti da più di tanto fastidio, anche io ho acceso il forno, per provare a fare i cracker.

Ho fatto un impasto base, variandolo poi con aromi o coperture:
l'impasto alla paprika affumicata
la copertura con sale affumicato
quella con semi di sesamo
quella con semi di papavero
...i miei preferiti sono stati quelli fatti con fior di sale in cima e paprika affumicata nell'impasto. La paprika li ha resi leggermente rossicci, ma con le dosi di spezia avrei dovuto osare di più... è così buona !

Non che ci fossero dubbi: l'affumicato per me è il sapore che preferisco in cucina.
Ne sono drogata: che sia salmone, provola, scamorza, ricotta, mozzarella, speck, kaminwurst, salsa barbecue... mi piace sempre. E l'aringa è l'eccezione che conferma la regola.

L'impasto base:

250 g di farina zero
125 g di acqua
5 g di sale
un cucchiaino colmo di strutto

Impastare nella planetaria per 3 minuti. Far riposare la pasta coperta da pellicola per 15 minuti poi stendere con il mattarello infarinato sino a 2-3 mm di spessore.
Con un tagliabiscotti preparare le forme, poi bucherellarle con una forchetta.
Spennellarne la superficie con acqua e farvi aderire l'aroma prescelto (semi, sale...)
Disporle su una placca da forno coperta con carta oleata e cuocerle per circa 10-15 minuti (sino a che dorano, dipende dai forni).





domenica 13 luglio 2014

I fiori di zucchina e muddica al forno





Il sabato mattina, quando posso, mi concedo il tempo per una colazione in compagnia con amici, una in particolare. Un rito nato tempo fa, facendo diventare appuntamento la coincidenza che ci faceva trovare per caso spesso nello stesso posto alla stessa ora a bere il caffé.
Altri amici e colleghi lo sanno. E l'appuntamento dapprima casuale, poi "aggiungi un posto a tavola" è oggi diventato un po' come l'orario di ricevimento dei professori alle medie. Arrivi alle 10 e aspetti. Qualcuno arriverà, se non è già li.

Ieri mattina, insolitamente più tardi del solito, facevamo pigramente colazione in quattro.
Verso le 11 compare lo chef con in mano una cassetta in legno colma di fiori di zucca meravigliosi.
Come li fai, fritti o al forno ? gli chiedo. Lui strabuzza gli occhi, come se avessi bestemmiato.
Eh...fffritt', mi dice, con un non verbale ricco e partenopeo a corredo.
Lo chef è napoletano, probabilmente friggerebbe anche la cassetta.
E come biasimarlo.
Fatto è che mi è salita una voglia pazzesca di fare i fiori di zucca fritti.

Ma a casa ho una zona giorno microscopica, il divano dista circa un metro e venti dal fornello.
Se friggessi in casa, penso dovrei cambiare il mobilio ogni volta.
Così stamattina mi sono tolta la voglia con i fiori di zucchina e muddica al forno, un mio cavallo di battaglia estivo non ancora passato da queste pagine.

Mi accorgo peraltro che le cose che propongo più spesso qui non ci sono... il polpettone per gli "amici del porco", il focaccione al rosmarino, i funghi ripieni, il bunet... dovrò provvedere.




12 fiori di zucchina (con le loro mini-zucchine)
1/2 provola affumicata (circa 150 g)
2 fette di pan bauletto
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
1/2 spicchio d'aglio
sale pepe
olio evo
3 foglie di basilico
acciuga (facoltativo)

Se i fiori che trovate non dovessero avere le zucchine ancora attaccate, usate un paio di zucchine piccole e sode, privandole della parte centrale più morbida se fossero più acquose.

Pulire delicatamente i fiori privandoli del pistillo e del gambo
Frullare grossolanamente nel mixer il pan bauletto, per formare briciole grosse e lievi, metterlo da parte
Frullare sempre grossolanamente la provola affunicata, mettere da parte
Frullare della stessa granularità del pane e della provola anche le mini-zucchine (ne bastano 6), con il basilico e l'aglio.
Nel frattempo accendere il forno a 200° e portarlo a temperatura.
In una terrina mescolare le zucchine, la provola, 2/3 del pane e il parmigiano.
Se si gradisce, si può aggiungere anche dell'acciuga.
Correggere di sale e pepe.
Farcire i fiori con il composto amalgamato, aiutandosi con un cucchiaino da caffé.
Disporre i fiori in una pirofila leggermente unta, cospargere con il pane avanzato, un po' di sale pepe e un filo d'olio a zig zag per tutta la pirofila.

Infornare per 15 minuti in un ripiano non troppo vicino alle serpentine e servire caldi. Se il pane dovesse colorire troppo, dopo dieci minuti abbassare il forno a 180°.




Dedico questa ricetta ai compagni di colazione Ana, Manolo (sigh, ci manchi), Anna e Davide.
E al mio chef preferito. 'A faccia mia sott e pier vuost, chef.

sabato 28 giugno 2014

Un gelato alla lavanda home made

 



Mi piacerebbe anche stavolta potervi raccontare una storia legata a questa ricetta, ma non sempre c'è.
Se non un po' di voglia di Provenza e Costa Azzurra che mi ha lasciato il post precedente.

Non ho gran tempo di cucinare per me né per gli amici, tuttavia qualche sera fa - dopo una pizza al ristorante pulp sotto casa - ho offerto loro del gelato home made.
Adoro il gelato, specie alle creme, e impazzisco per quello alla nocciola.
Dacché col bimby me lo faccio in casa, nocciola pistacchio o mandorla non mancano mai nel freezer.
Ma per gli amici volevo osare, inventandomi qualcosa di nuovo.
Dopo aver usato tempo fa la lavanda per un creme caramel (delizioso), ho provato ad usarla anche per il gelato.
Il risultato è stato ottimo, particolare ed originale. E' stato molto apprezzato, tant'è che oggi pomeriggio penso ne preparerò altro.

Con la lavanda in cucina, il rischio è sempre l'effetto saponetta, quindi... meglio un po' d'avarizia.



Preparazione del gelato alla lavanda (con bimby tm31)

250 ml panna fresca
250 ml latte intero
140 g zucchero
1 tuorlo grande (o due piccolini)
1 cucchiaio di vaniglia in estratto (o i semi di una bacca)
2 spighe di lavanda non trattata appena secche

Far cuocere tutti gli ingredienti nel bimby per 7'/80°/vel.3.
Filtrare con un colino a maglie fini in un contenitore da freezer basso e largo, sufficiente per ottenere una mattonella alta circa due dita.
(Io uso la linea freezer di tupperware, i contenitori da 600 ml sono perfetti)
Congelare per 24 ore.
Togliere dal freezer e tagliare a cubotti.
Inserire nel boccale del bimby e mantecare, spatolando, circa 10" / vel. 6 poi 10"/ vel. 4.
Servire subito. Come tutti i gelati artigianali, si scioglie molto in fretta.





domenica 1 giugno 2014

Costa Azzurra, lavanda e pan bagnat. Ricordi di quando avevo le ginocchia, per Threef.




Quando il team di Threef ci ha indicato, come traccia di lavoro per giugno, il tema di massima "street food, fast food e dintorni", sono andata in paranoia. Sì, perché tutto il mio street food preferito, su Threef, era già stato pubblicato.
Le fajitas, mie, sul numero 2. Le zeppole di pasta cresciuta, sempre mie, sul 3. I falafel, di Maria Elena, sul numero 5.
Ho cercato di continuare a pensare all'estate, alle vacanze.

Il primo pensiero è andato alla Grecia, al pita gyros, che però poneva il problema di cucinare la carne nel modo giusto, con lo spiedo verticale.
Ricordo, al rientro da Creta, le crisi di astinenza da pita gyros soddisfatte a Milano, a tarda notte, sull'alzaia del naviglio, nella storica ghireria.

Poi un lampo, un fiume in piena di ricordi.
Quelle estati con mamma e papà, quelle settimane di luglio nell'indimenticabile appartamentino di amici in rue des Palmiers, nella vecchia Antibes.
Sono passati quasi venticinque anni e me lo ricordo come fosse ieri, con quelle mattonelle esagonali di cotto, il caminetto, la tenda in stoffa provenzale a nascondere l'angolo cottura.

Le cene all'aperto nei bistrot della piazza; cozze, cozze e ancora cozze.
La mattina, la colazione al bar all'angolo, con dei croissant che non ho più mangiato così buoni, nemmeno a Parigi.
Croissant che con la loro croccante bontà mitigavano l'immondo caffé espresso francese.
La spesa con la cesta in vimini al mercato, sotto la tettoia liberty in vetro e ferro battuto. Metri e metri di ceste di frutta, secchi di fiori e piatti di spezie. Nectarines e tulipani.
Portavo pantaloni capri a quadretti vichy, vestitini a fiori e zoccoli col tacco.
Pesavo più o meno trentacinque chili, che a voler essere pignoli sono le stesse cifre del mio peso attuale. Mi si vedevano le rotule, allora.

Era tutto splendido.
Persino lo spazzino comunale che all'alba - a bordo di una Yamaha da enduro dotata di bidone aspiratutto, chiamata dai locali moto-crotte e da noi più laicamente succhiamerde - sanificava i vicoli. Un figaccione, abbronzato e ossigenato, che sembrava uscito da baywatch. Non fosse stato per l'aspiramerde, che lo faceva un po' ghostbuster.

La vecchia Antibes, il profumo di pane che usciva dalle boulangerie misto a quello di saponette e sacchetti di lavanda.
Quelle vetrine dei baretti piene di baguettes jambon beurre, piccole quiche lorraine da asporto e traboccanti pan bagnat. Buono, quel panozzo gigante.
Un'insalata nizzarda ficcata dentro due fette di pane pronte ad esplodere, colando vinaigrette sul vestitino a fiori.




Pan bagnat

4 panini tipo arabo
2 pomodori ramati
1 cetriolo
2 cuori di lattuga gentile
2 uova sode
1/2 cipolla rossa
400 g di tonno in tranci sott'olio
1 manciata di olive verdi denocciolate
olio aceto di vino rosso sale e pepe

Tagliare le uova sode a fettine.
Sgocciolare il tonno dall'olio di conservazione.
Preparare le verdure per l'insalata nizzarda: mondare e lavare la lattuga, tagliare a fette sottili il pomodoro; affettare anche il cetriolo privato della scorza e la cipolla rossa.
Radunare il tutto in una terrina, aggiungere le olive e condire in modo decisamente abbondante con olio, aceto, sale e pepe, mescolando delicatamente.
Tagliare il pane e bagnarlo su entrambi i lati con il condimento dell'insalata, prelevandolo con un cucchiaio dal fondo della terrina. Comporre il pan bagnat con l'insalata, l'uovo e il tonno.


Bonus track
Pane arabo, tipo pita
esecuzione con Bimby (ricetta di Valentina):

500 g farina zero
300 g acqua tiepida
25 g lievito di birra fresco
10 g sale

Inserire nel boccale l'acqua, il lievito, la farina e il sale.
Impastare 2 minuti a spiga.
Dividere l'impasto in 8 parti uguali, formare delle palline lisce e ben compatte.
Appiatturle e stenderle con il mattarello sino ad ottendere dischi di 12-14 cm di diametro.
Coprire e far lievitare sino a raddoppio.
Scaldare il forno a 250° con la placca vuota al suo interno.
Una volta caldo, estrarre la teglia e disporvi i panini, cuocere per 10' o fino a doratura.
Togliere i panini appena gonfi, metterli subito in un sacchetto di carta e poi quello di carta in uno di plastica per trattenere tutta l'umidità.
Conservarli così chiusi mezz'ora prima di servire.

Non perdetevi anche questo Threef, è bellissimo.




martedì 27 maggio 2014

Quasi-guacamole mediterranea (un anno dopo)


Il lunedì l'arrivo in ufficio non è mai dei migliori. Per quanto non mi dispiaccia per nulla lavorare, comincio a provare momenti di saturazione rispetto al mio lavoro.
Ciò accade dopo quindici anni di servizio nello stesso settore, dieci dei quali nella stessa nella Megaditta, nei secoli fedele come l'Arma dei Carabinieri, Filini e Fantozzi, Angelino Alfano.
L'approccio con la settimana aziendale necessita dunque nell'ordine: super caffé macchiato del bar, puntatona del ruggito del coniglio nel tragitto in auto, un po' di training autogeno e, dopo il passaggio ai tornelli, anche una fiala di plasil.

Ieri mattina però una collega, grande donna, grande professionista e grande cuoca, si è precipitata in stanza da me prima delle nove per dirmi che aveva fatto la mia "guacamole mediterranea", una mia variante senza avocado, pubblicata sulla rivista un anno fa. A tavola per lei è stato un successone.
E' stato un piacevole incipit, una piccola soddisfazione sapere di essere stata utile a qualcuno.

In quel momento ho realizzato di non aver mai pubblicato sul blog quella ricetta, ormai datata e parte di un menu messicano proposto a Threef nel n. 1, ma adatta per stagionalità all'affaccio d'estate che ci attende. E così ne approfitto per farlo ora, un po' a babbo morto.

Com'è triste Venezia un anno dopo, cantava Aznavour.
Figurati una zucchina.

Chissà che questo post a scoppio ritardato compensi un po' la mia latitanza dal web e dalla vita sociale, intrappolata come sono tra tornelli, fiale di plasil, lavatrici notturne e week end in famiglia.


Quasi-guacamole mediterranea

200 gr di zucchine sode
200 gr di peperoni verdi dolci, tipo friggitelli
60 gr di cipolla rossa
2 pomodori piccadilly maturi
1/2 lime, la scorza grattugiata
2 gocce di tabasco
1 spicchio d'aglio, privato dell'anima
4 foglie di basilico
1 peperoncino rosso piccante (facoltativo)
olio extravergine, sale e pepe q.b.
300 gr di nachos

Pulite e preparate le verdure: private i pomodori della parte interna, tagliate i pomodori e la cipolla a brunoise, tagliate le zucchine e i peperoni a tocchetti.
Soffriggete in padella l'olio e metà della cipolla, aggiungete zucchine e peperoni e fate rosolare per una dozzina di minuti, con sale e pepe. A fine cottura lasciate intiepidire, poi tritate il tutto poco più che grossolanamente al mixer, aggiungendo anche un po' del pomodoro, il basilico, l'aglio, il tabasco e la scorze di lime. Trasferite in un colino per cinque minuti, per far perdere eventuali succhi eccessivi e far raffreddare.
Versate il tutto in una ciotola, aggiungendo i pomododori e la cipolla rimasti, il peperoncino a fette e un filo d'olio a crudo. Mescolate a mano e correggete di sale e pepe, se fosse necessario.
Servite con nachos.



venerdì 18 aprile 2014

Warm and cosy coq au vin






Ho una passione per i libri di cucina inversamente proporzionale allo spazio che ho per tenerli. Li sfoglio ogni sera, prima di andare a dormire. Quando sono così stanca da non riuscire a leggere nulla, mi limito a "guardare le figure", come dicono i bambini. Ecco perché non compro libri di cucina senza fotografie. Anzi, se le foto sono il doppio delle ricette meglio. Parlo di foto di cibo e styling, e basta.
Cara generica non meglio precisata foodwriter, per intenderci, farei volentieri a meno delle foto di tuo marito e dei tuoi figli, delle tue amiche, delle loro barche e della pubblicità gratuita - pagata due volte - a Ralph Lauren. 
Compro libri, li sfoglio, li presto, li coccolo, li riempio di post-it con l'idea di provare qualcosa. E poi non faccio praticamente mai nulla.

Ho recentemente scoperto che in questa sindrome ossessivo compulsiva sono meno sola di quanto credessi. C'è lo Starbooks blog che - a differenza mia - le ricette le prova. Anzi, le viviseziona. Un altroconsumo dei ricettari, insomma. Ideona così banale da essere geniale.
Starbooks ha un duplice pregio: il primo - con Starbooks ufficiale - è testare l'affidabilità dei ricettari (spesso delle gran sòle, diciamocelo). Il secondo - con Starbooks redone - darmi un pretesto per eseguire almeno una ricetta dai quintali di libri che compro.

Eccomi dunque ad affrontare il mio primo Starbooks Redone con una ricetta da Home cooking made easy, uno dei favolosi libri dell'altrettanto favolosa Lorraine Pascale, il mio vero mito. Semplicemente, l'adoro. Manco a dirlo, ho tutti e quattro i suoi libri, comprati appena usciti, in lingua originale.
E da Home cooking made easy ho scelto il Warm and cosy coq au vin, caldo e accogliente come un abbraccio - dice l'autrice.

Warm and cosy coq au vin
di Lorraine Pascale (Home cooking made easy, ed. originale 2011)
per lo Starbooks Redone

La ricetta per 4

15 g porcini secchi
olio per rosolare
farina per infarinare
sale e pepe macinato fresco
8 pezzi di pollo, cosce e sovra cosce
140 g pancetta a pezzi
8-10 scalogni
timo fresco
rosmarino fresco tritato fine
una foglia di alloro
1 spicchio d'aglio schiacciato
150 g di champignon nocciola a fette
2 cucchiai di farina
550 ml di buon vino rosso
400 ml di brodo di pollo
1 carota, pelata e tagliata a bastoncini
1 manciata di prezzemolo tagliato grossolanamente

Ammollare i porcini 20' in acqua calda, poi scolarli tenendo l'acqua da parte.
Tritarli grossolanamente. Scaldare un po' d'olio in una pentola per rosolare. Nel frattempo, aromatizzare la farina con sale e pepe e infarinare il pollo. Farlo rosolare in padella finché si tosta da tutti i lati, poi metterlo da parte in un piatto. Nella stessa pentola rosolare la pancetta, poi aggiungerla da parte al pollo.
Nella pentola rosolare per un minuto gli scalogni, aggiungere timo rosmarino, alloro, aglio e i funghi champignon. Farli cuocere finché iniziano ad ammorbidirsi, aggiungendo olio ulteriore se necessario. Aggiungere due cucchiai di farina, mescolare e tostare, aggiungendo gradualmente sia il brodo che il vino. Una volta che tutto il liquido è stato aggiunto, aggiungere il pollo, la pancetta e i porcini. Cuocere per 20-25 minuti (sino a 40 se i pezzi sono grandi) o finché i succhi interni del pollo risultano chiari quando lo si buca. Dieci minuti prima della fine cottura aggiungere le carote.
Se il fondo di cottura risultasse troppo asciutto, togliere il pollo e farlo restringere; se fosse troppo secco, usare l'acqua dei porcini per allungarlo.

NOTE

Non avete idea della fatica che ho fatto ad eseguire una ricetta esattamente come richiesto, senza metterci del mio. Unica variazione ho usato le cipolline fresche anziché gli scalogni.
Per la cottura ho usato una cocotte in ghisa da 26.
Cosce e sovracosce di media grandezza, senza pelle.
Una volta versati i liquidi, ho alzato il fuoco e li ho portati a bollore prima di aggiungere la carne.
Il tempo di cottura per la mia esperienza è stato di 40 minuti, tutti a fuoco vivace nonostante la cocotte in ghisa e a pentola aperta.
Diversamente, credo che il liquido sarebbe risultato troppo abbondante.
Consiglierei di ridurre di 100 ml i liquidi per una cottura a fuoco lento e comunque di sostituire 100 ml tra brodo e vino con 100 ml di acqua dei funghi (è un peccato vada sprecato tutto quell'aroma).

A parte una RISERVA per l'equilibrio delicato e da aggiustare (a mio avviso) tra quantità di liquido indicata e tempi di cottura, la ricetta è PROMOSSA. Non è per nulla difficile, i passaggi ben descritti, regala soddisfazione. Nel libro mancano i tempi. Io ho impiegato 1h 40'.

sabato 5 aprile 2014

Le penne di farro al gratin e i miei flop in versione integrale


Per cercare di tener fede alla promessa che ho fatto tempo fa, ossia quella di raccontare a puntate qualche spunto dal libro di Heidi Swanson Super Natural Cooking, dopo l'antipasto ho preparato un primo. Un gratin di pasta di farro integrale.

Esplorare una vasta gamma di cereali (e granaglie)

La prevalenza di mercato di prodotti "bianchi", raffinati, si deve storicamente a necessità industriali. Privare un seme della parte più viva ha consentito di proporre prodotti con una vita di scaffale più lunga, a più basso deperimento e idonei a cotture più brevi.
La possibilità di recuperare le parti di crusca e germe, usando prodotti integrali che sono diventati facilmente reperibili, permette di reintrodurre nell'alimentazione elementi "potenti promotori di salute". Heidi suggerisce di variare, usando quinoa, amaranto, miglio, avena, orzo, farro...

I miei approcci con il mondo dell'integrale e con le varietà di granaglie sono stati timidi e in salita.
Qualche esempio.
2006. Riso rosso selvatico di altromercato.
Rientrai una domenica mattina dopo il mercatino di terre ribelli con la scatola in borsa.
Misi il riso a cuocere. Erano le 13:45. Avevo fame.
Dopo quaranta minuti a sorvegliare una pentola che schiumava violetto, sporcando tutti i fornelli senza che i chicchi avessero dato segno di ripresa, decisi che era ora di un hot dog.
2010. Quinoa.
Ero stata ad un seminario di yoga all'aperto. Una amica aveva portato un'insalata fredda di quinoa. Decisi di provarla, la settimana successiva. Ma non sapevo che andasse risciacquata prima dell'uso, per levare la saponina. L'idea era di preparare un taboulé, ne uscì uno splendido cous cous al dixan.
2012. Pane di semola di grano duro integrale.
Presa la ricetta di Sara Papa e sostituita la semola bianca con quella integrale. Così, tout simplement.
Un pane indimenticabile. L'ho conservato. Ancora oggi lo uso da fermaporta nei giorni di vento.
2013. Farina di grano saraceno.
Volevo fare le galettes. Con una ricetta trovata non ricordo dove. Più che crespelle, ne uscirono delle fantastiche spugnette leggermente abrasive, perfette per pulire delicatamente l'inox.

Ho capito.
Cinquanta minuti per un riso bollito non sono compatibili con il mio stile di vita.
Trenta esperimenti per cavar fuori un pane decente 100% integrale non ho la pazienza di farli.
Uso quasi esclusivamente farina zero di farro. E poi ho deciso che, per me, il compromesso è la pasta.
Da tempo compro principalmente pasta integrale o semi integrale, di farro o di kamut.
Me ne piace il gusto, ruvido e saporito.
Opto invece su pasta raffinata quando incappo in pastifici capaci di prodotti di qualità; Setaro è tra i mei preferiti. O ancora, quando cerco formati "strani" che non sono disponibili nelle versioni integrali.

Pasta integrale di farro al gratin con radicchio e caprino
Per 6 cocottes

300 g di pasta integrale di farro
3 cespi di radicchio tardivo
1 spicchio d'aglio
2 cucchiai d'olio extra vergine
50 ml di vino bianco
150 g di formaggio di capra a pasta semidura, grattugiato grossolanamente
sale e pepe

Preriscaldare il forno a 180°.
Mettere a cuocere la pasta in acqua salata, scolandola un solo minuto priam del tempo indicato.
Nel frattempo scaldare una padella con olio e aglio, scottare velocemente il radicchio tardivo a tocchetti, sfumare con due cucchiai di vino.  Deve essere un'operazione molto rapida.
Una volta scottato, spegnere il fuoco, salare e pepare.
Scolare la pasta, mescolarla al radicchio e disporre nelle cocottes, aggiungendo un cucchiaio scarso di vino e ancora un accenno d'olio se la pasta risultasse troppo asciutta.
Cospargere con il formaggio ogni cocotte, pepare ancora leggermente e gratinare una decina di minuti prima di servire.

...e con questa, salutiamo davvero il radicchio. Benvenuti asparagi (anche se vi detesto) !

sabato 8 marzo 2014

Un 8 marzo di sole, una lasagna vegetariana, voglia di primavera e nostalgia di mamma






Ci sono certi oggetti, anche in cucina, che hanno un fascino incredibile. Sono quegli oggetti che ricordano l'infanzia.
L'altra sera, per esempio, stavo per comprare una vecchia bilancia tedesca su ebay. I noti problemi di spazio mi hanno trattenuta. Ma non so per quanto. Era la stessa identica bilancia con il piatto in metallo che aveva mamma, rossa, negli anni settanta, e con cui da bimba giocavo. Una bilancia che sembra uscita dai fotogrammi di Goodbye Lenin. Da anni è missing, rimpiazzata da meno poetiche soluzioni digitali salvaspazio.

Tra i reperti archeologici invece degnamente sopravvissuti nella cucina di mamma, c'è un kit tritatutto Girmi del settantuno, regalo di nozze. Un kit multifunzione che conteneva grattugia, tritacarne, frullatore a immersione e frullatore a fruste. Color grigio pallido. Mamma ne va fierissima, data la longevità dell'apparecchio. E del matrimonio, direi io.
Vent'anni fa le ho fuso il frullatore a fruste, messo a dura prova sotto natale da quintali di creme al mascarpone. Non me l'ha ancora perdonata. Mi sono offerta di regalarle un Bimby, mi ha mandata a stendere. Che il suo frullino era speciale.
E' con quel tritatutto, che taglia meravigliosamente verdure e formaggi a julienne, che feci la mia prima lasagna vegetariana a crudo, ai tempi dell'università. La prima e ultima.

Quando oggi, per dare il benvenuto alla primavera, mi sono decisa a rifare quel piatto, è stato naturale pensare a mamma e al suo girmi.
Quello che non ricordavo, è che questa lasagna fosse così gustosa.
Penso proprio non passeranno altri quindici anni, prima di rifarla.

Buon 8 marzo, mamma !
Non so papà se sia stato così romantico... a me la mimosa, l'hanno regalata a colazione, con un caffè fumante.
Ringrazio Stefano, il barista.





Per una teglia 17x25 cm

2 carote
2 zucchine
1 porro
3 peperoni
1 confezione di sfoglia grezza
300 g grana padano grattugiato
500 ml di besciamella

Per la besciamella
500 ml latte
50 g burro
40 g farina
sale, pepe, noce moscata

Preparare la besciamella e farla intiepidire. (Nel bimby, inserire tutti gli ingredienti insieme nel boccale e cuocere 7 minuti / 90° / vel. 4. Lasciarla intiepidire nel boccale, senza misurino, a lame in funzione a velocità 2.)
Preriscaldare il forno a 200°.
Nel frattempo tagliare a julienne le verdure, lavate e asciugate, e disporle sulla placca del forno ricoperta di carta forno, senza alcun condimento. Metterle in forno ad asciugare per circa 5 / 7 minuti. Non devono gratinare, devono solo perdere umidità.
Estrale dal forno, condirle con sale, pepe e mescolarle.
Lasciarle intiepidire, basterà poco tempo.
Allestire la lasagna a strati: pasta all'uovo, verdure, formaggio e besciamella in ogni strato, fino a terminare gli ingredienti.
Infornare per 25 minuti.

sabato 22 febbraio 2014

Polentina taragna con scaglie di mimolette e radicchio rosa



Nonostante io sia sempre alla ricerca di letture gastronomiche fresche di stampa, la mia attenzione in questi giorni è catturata da un libro di cucina (o quasi) non certo recente. E' del 2007 il volume scritto dall'americana Heidi Swanson - foodwriter e fotografa di San Francisco - intitolato Super Natural Cooking.Sottotitolo qualcosa tipo: cinque modi per includere ingredienti integrali e naturali nella vostra cucina. Lo reputo una lettura semplice e interessante, ricca comunque di nozioni di cultura alimentare e di spunti per avviare una piccola rivoluzione nelle abitudini quotidiane. Nei cinque capitoli del volume vengono raccontate e corredate con ricette le cinque vie suggerite nel sottotitolo, che potrei così riassumere e tradurre:
  • Organizzare una dispensa di alimenti naturali
  • Esplorare una vasta gamma di cereali (e granaglie)
  • Cucinare con i colori
  • Conoscere i Supercibi
  • Usare dolcificanti naturali.
Nel libro non si parla di carne né di pesce, ma senza sventolare bandiere vegetariane. E forse è questo che mi è piaciuto: l'accompagnare il cambiamento degli stili alimentari senza integralismi, raccontandolo a piccoli passi e accettando i compromessi."Piuttosto che niente, meglio piuttosto", diceva mia nonna Dina.
Anche perché... le domeniche del porco con gli amici di sempre non contemplano cotechini di tofu.

Ho anche pensato, per chi non conoscesse il volume o non avesse la possibilità di leggerlo in lingua originale (non credo esista tradotto), di darvene qualche assaggio, con un post per capitolo e una ricetta ispirata in generale ai suoi contenuti, con deviazioni sul tema.
Come avrete notato, questo blog - in termini di tempo dedicato, frequenza di aggiornamento e propensione alla connessione coi social network - ha la tonicità di una blatta.
E' dunque una sfida, promettere cinque post. Non so se ce la farò. Magari ci areneremo al capitolo tre, entro il 2020. Ma piuttosto che niente, meglio piuttosto.

Organizzare una dispensa di alimenti naturali

Per Heidi non si tratta di fare un punto zero nella dispensa, buttando tutto ciò che abbiamo nello scaffale. Si tratta gradatamente di disinnescare il condizionamento che - al supermercato - ci fa allungare la mano rispetto al riacquisto delle cose che usiamo da sempre, per abitudine. Spesso cibi industrializzati e iper-raffinati. E si tratta di variare, esplorare, provare, sperimentare. Perché una farina integrale si comporta diversamente in un impasto da una farina bianca. Un tipo di dolcificante può essere diversamente idoneo per la torta di sempre, e un altro pò risultare migliore dello zucchero bianco sinora usato.
Nella dispensa naturale di Heidi entrano farine integrali, preferibilmente biologiche, ma anche farine di altri cereali, come l'orzo, il mais...
Entrano olii e grassi come il burro chiarificato, olio di sesamo, di mandorla. Tuttavia non dimentichiamoci che la poveretta vive negli States e noi in Italia. Pur con tutte le tragedie di questo paese, tipo la criminalità organizzata, la terra dei fuochi, i terremoti, Maria De Filippi, due papi, tre ventenni di dittature seguiti da Renzi Presidente del Consiglio, siamo ancora baciati dalla fortuna. Un po' sfigati sì, ma non del tutto. "Lucky enough", scrive Heidi. Noi... noi abbiamo l'olio extra vergine d'oliva. I consigli di Heidi sull'olio di cocco, thanks a lot, ma possono aspettare.
Il paragrafo sui dolcificanti si apre parlando di... sale. E' stata la capacità degli chef di far scoprire al vasto pubblico la grande varietà di sale esistente, che ci consente ora di apprezzarne tutte le sfumature di colori, provenienze minerali, sapori del sale. E lo stesso paragrafo si chiude elogiando le varietà di pepe esistenti. Chissà se il futuro ci riserva altrettanto nel mondo dolce. Qui compaiono tra gli altri il miele, la melassa, lo zucchero di canna, lo sciroppo d'agave.
Si parla anche di cibi da fermentazione: l'aceto in primis, ma anche il miso, la salsa di soia, la sua variante non pastorizzata shoyu. Si tratta di elementi utili a tenere arzilla la componente batterica "amica" del tratto intestinale, minacciata quotidianamente da stress, antibiotici, bevande alcoliche e acqua ricca di cloro.

Polentina taragna con mimolette e radicchio rosa

Ecco un'idea per usare il formaggio mimolette comprato la scorsa settimana. Un formaggio vaccino francese molto saportito, dalla tipica colorazione arancio. Ho pensato di servirlo come antipasto.
L'ho grossolanamente grattugiato su una polentina taragna tenuta un po' morbida, ossia preparata abbondando un po' di acqua rispetto alle dosi indicate sulla confezione (una volta e mezzo circa).
Che di norma, a Bergamo, con la polenta taragna ci si stucca i muri.
Ho adagiato sopra al tutto le foglie più piccole di un radicchio rosa, una varietà che riesce sempre ad incantarmi per la sua bellezza, cricorda un fiore.
Ho condito il tutto semplicemente con sale nero di Cipro e olio extra vergine del Garda.


domenica 9 febbraio 2014

A volte ritornano. No knead bread


No, non sono defunta.  
Non tempo per cucinare. Citazione forbita di Donna Hay.
Nel senso che l'autrice australiana dell'omonimo libro mi ha plagiata, ma non le chiederò i danni né i tre euro e venti di SIAE.

E poi, le poche volte che nel week end cucino, cucino da asporto, nel senso che trasloco con pentole e pirofile varie a casa degli amici, per le classiche cene "ognuno-porta-qualcosa". Niente post e foto, dunque. La voracità degli amici non mi lascia nemmeno il tempo di una foto dal cellulare.
Stasera mi aspetta uno di questi gradevoli appuntamenti, definiti dalla ciurma "domeniche del porco" per la larga presenza di suino tra le portate. E busserò con i piedi, le mani impegnate con cose dolci (i cuori fondenti al cioccolato) e salate (i panini scugnizzo).

E' colpa di Paola, se oggi ho ripreso un esperimento di panificazione.

Mi ha regalato a natale il libro di Jim Lahey, inventore del famoso pane senza impasto (no knead bread), un pane croccante e ad alta idratazione reso mondialmente noto dal NY Times, nell'intervista di Mark Bittman.
E dunque è sempre colpa di Paola se il libro mi ha costretta - assolutamente obtorto collo - a dotarmi della quarta cocotte in ghisa (che dovrò stipare a casa di qualcuno... vero ciclista ?) 

Eccomi dunque oggi a sfornare il mio primo NKB, anche se a dirla tutta un esperimento beta fu fatto un anno fa a casa di mamma. Se gli alveoli sono all'altezza delle attese lo scopriremo stasera, quando lo taglierò. Al momento scotta, profuma e, proprio come annuncia il libro, canta: "inizia a emettere suoni bizzarri, come un rapido susseguirsi di petardi, uno scoppiettio dopo l'altro. Il cantare testimonia l'ultima fase della cottura, che avviene fuori dal forno, ed è il motivo per cui bisogna sempre lasciare al pane il tempo di raffreddarsi prima di tagliarlo".


No knead bread

Per il metodo di preparazione e cottura, che è "zero fatica" per l'impasto ma prevede alcuni passaggi delicati successivamente, trovate infinite risorse in rete, non da ultimo il video ufficiale (qui).

In sintesi le fasi sono le seguenti:
prima fase, miscela (non-impasto) degli ingredienti
dopo 12 ore, piegatura, infarinatura e posizionamento in un canovaccio infarinato
dopo 1 ora, pre riscaldamento forno e pentola vuota con relativo coperchio a 245°
dopo 1-2 ore, inizio cottura a pentola chiusa
dopo 30' di cottura chiusa, proseguire cottura senza coperchio
dopo 15-30 minuti, fine cottura.

Ho non-impastato ieri notte alle due, durante il consueto trasloco  in sonnambula tra divano e letto, ho dato le pieghe all'impasto oggi alle 14 e cotto alle 15:30. Sfornato alle 16:15.

Le quantità di ingredienti per l'impasto che ho usato, riproporzionando quelle del libro, sono le seguenti:
500 g farina zero
375 g acqua
1,5 g lievito di birra secco non istantaneo (tipo mastro fornaio, per capirci)
10 g sale
Altra farina qb (sarebbe meglio semola) per la lavorazione.


Ho usato una cocotte in ghisa da 26 cm di diametro (come era consigliato nel libro), a cui ho sostituito il pomolo originale in materiale fenolico con uno - sempre ricambio originale - in acciaio inox, idoneo a superare i 200°. Tuttavia, penso che un diametro più piccolo sia più idoneo, per ottenere un pane più alto.