venerdì 30 dicembre 2011

Wellington: variazioni sul tema


Quel giorno in cui incontrammo Csaba dalla Zorza nel bellissimo negozio Soufflé, Valentina le chiese quale tra le ricette di Merry Christmas fosse la sua preferita. Senza esitazione rispose il filetto alla Wellington.

In mancanza del filetto, ma prendendo ancora spunto dall'iniziativa di Elena che invita a rivisitare ricette di Csaba, vi racconto cosa ho combinato con un pezzo di roast beef che avevo in frigorifero.
Come dire... l'ho... wellingtonizzato !

Ovvio che il filetto sarebbe stata altra cosa, anche per la resa in cottura e al taglio, sotto una soffice e friabile crosta di sfoglia che teme persino gli spifferi. Tuttavia, almeno visivamente, il risultato non è poi così male.

Ho pulito e tagliato i funghi champignon (circa 10) e li ho rosolati nel burro, con aggiunta di pepe e un po' di sale. Ho fatto anche ammollare in acqua tiepida una manciata di porcini secchi. Infine ho preparato una crema frullando il bis di funghi nel mixer.
Ho cosparso il roastbeef con sale e pepe, l'ho massaggiato e lasciato riposare per una decina di minuti. Poi l'ho sigillato in pentola da ogni lato, con il burro, sfumando infine con il brandy.
Una volta sigillato, ho coperto la parte superiore con la crema di funghi. L'ho ricoperto con pasta sfoglia già stesa, lasciando la giuntura sul fondo ed eliminando gli eccessi (con i quali ho fatto le decorazioni a foglia). Ho spennellato il tutto con latte (l'uovo sulla sfoglia da un odore che non mi piace assolutamente, anche se l'effetto laccato sarebbe splendido) e ho messo il tutto in forno già caldo a per 25 minuti.



La ricetta ortodossa di Csaba, ossia quella del filetto alla wellington, è reperibile ovunque:
- a pagina 191 del libro Merry Christmas
- sul tubo, in video
- sul blog Nella cucina di Ely, post di Elena

Le orecchiette di Csaba ed Ely OGM (orecchiette gastronomicamente modificate)

Un po' di novità post natalizie...



La prima: la mia amica e collega Silvia lascia Verona, rendendomi molto felice per lei e la sua carriera ma molto triste per un legame che, se non si spezza, inevitabilmente si allenta;

La seconda: finalmente mi sono fatta il regalo che mi serviva. E' arrivata la mitica Billy di Ikea con le ante a vetro per riporvi riviste e libri di cucina; ringrazio il sant'uomo con station wagon in comodato, che si è prestato al suo allestimento;

La terza: la libreria è arrivata ed è già quasi sottodimensionata, visto lo storico e il fatto che amici e parenti hanno scelto libri di cucina come (graditissimo) regalo di Natale;

La quarta: uno di questi nuovi libri è Merry Christmas di Csaba dalla Zorza, regalo di Valentina. Il 20 dicembre scorso, Valentina mi ha portata da Soufflé per prendere questo libro, con dedica in diretta dell'autrice, lì presente, in Prada, carne e ossa, con la sua composta eleganza;

La quinta: a proposito di questo libro, ho pensato che la mia recente proposta (le trofie al radicchio) può essere riadattata per partecipare all'iniziativa del blog Nella cucina di Ely Quale menù per le feste: Classico o contemporaneo ? http://www.nellacucinadiely.it/2011/12/quale-menu-per-le-feste.html.


L'iniziativa di Ely e le mie orecchiette OGM



Elena ha selezionato sei ricette da due libri di Csaba (Merry Christmas e Fashion food, che sarebbero il premio, ma che già ho...), invitandoci a reinterpretarle con una variazione di massimo tre ingredienti.
Ho scelto di rivisitare le orecchiette con crema alle noci. Queste le mie due variazioni (o meglio, una sostituzione e un'aggiunta):
Per le orecchiette: le ho fatte a mano, inserendo la farina di castagne nell'impasto.
Per il sugo, ho riproposto il mio pesto di radicchio e noci, senz'aglio, sostituendo il mascarpone di Csaba con il radicchio di Verona, mantenendo il parmigiano, sale e pepe e aiutandomi con l'acqua di cottura per diluirlo.

Come ho fatto (per 2 persone)


Ho preparato le orecchiette amalgamando con acqua qb per ottenere un impasto gommoso
50 grammi di farina di castagne
50 grammi di farina bianca tipo 0
75 grammi di farina di semola di grano duro
Ho chiuso l'impasto in un sacchetto da freezer durante la lavorazione delle orecchiette per evitare seccasse, estraendone dunque un po' alla volta per strascinarle.
Le ho lasciate asciugare mezza giornata su un canovaccio.

Ho messo a bollire acqua salata, nel frattempo ho preparato il pesto.

In un mixer ho frullato pezzi di parmigiano reggiano (circa 50g) e gherigli di noce (circa 50g), poi ho aggiunto il radicchio lavato, asciugato e tagliato a striscioline, ho frullato di nuovo a intermittenza. Prima di condire la pasta, ho aggiunto sale e pepe e l'ho ammorbidito con l'acqua di cottura.

Mi rendo conto che - viste le trofie - questa ricetta sia un perfetto dèjà vu, tuttavia, paragonandole al candido piatto di Csaba, è incredibile come una proposta possa cambiare completamente aspetto con piccole modifiche. Ne è uscito un piatto diverso, molto più rustico e territoriale.

venerdì 23 dicembre 2011

Trofie di castagne con pesto di radicchio veronese


Poiché la mia identità territoriale pendola su quella direttrice che congiunge la pianura padana da est a ovest, ho pensato di farvi gli auguri e di congedarmi prima di natale con una proposta mezza ligure, mezza veneta, ma comunque invernale.
Vi propongo le trofie alle castagne con il mio pesto alla veronese.

Cosa serve (per 6)

Per le trofie:
150 grammi di farina zero
150 grammi di farina di castagne
un pizzico di sale
acqua a temperatura ambiente, qb

Per il pesto:
3 cespi di radicchio di Verona (quello piccolo, dolce e ovale)
una manciata di noci
uno spicchio d'aglio
un pezzettino (a piacere) di formaggio stagionato tipo monte veronese
sale, pepe qb
olio qb
(e tenere da parte un po' di acqua di cottura)

Come lo preparo

1.Preparare le trofie miscelando dapprima le due farine debitamente setacciate, con aggiunta di sale; aggiungere acqua qb per ottenere una pasta elastica (tipo pongo, per chi se lo ricorda...).
2.Formare una palla con l'impasto e avvogerla nella pellicola per tenerla umida.
3. Staccare pezzi d'impasto della dimensione di un cece e schiacciarli, a uno a uno, sotto il palmo della mano, con un movimento in avanti e uno all'indietro.
4. Stendere le trofie ad asciugare su un panno.

Mentre asciugano preparare il pesto, dapprima molto asciutto perché andrà in seguito ammorbidito con l'acqua di cottura.
5. Mettere nel mixer prima le componenti più dure, ossia l'aglio e le noci. Dare una prima frullatina a intermittenza.
6. Aggiungere il formaggio, rimixare.
7. Aggiungere l'olio fino a che copra per bene gli ingredienti sinora inseriti.
8. Aggiungere il radicchio tritato a striscioline (salvo la parte più bianca, vicina all'attaccatura), mixare nuovamente a intermittenza. Tenere da parte.
9. Far bollire abbondante acqua e sale grosso in una pentola; quando arriva a bollore, tuffarvi le trofie.
10. Quando cominciano a venire a galla, pescare dalla pentola un po' d'acqua di cottura (io uso una tazzina da caffè) e utilizzarne qb per ammorbidire il pesto.
11. Quando le trofie sono venute a galla, scolarle e condirle con il pesto e servire subito.


Attorno al cibo, anche quest'anno, si sono consumate innumerevoli emozioni.
Ci sono state molteplici occasioni spassose e conviviali, come quelle scandite dalla cucina di Monica, la madonna dei farinacei (con pizza, pane e gnocchi sa far miracoli); o come le "serate del porco", che non conoscono stagionalità.
C'è Valentina con il gruppo-utenti-Bimby, che ha la cucina come primo pretesto, ma è sempre più una rete di relazioni e di sostegno che va ben oltre le serate di scambio ricette e cucina collettiva.
Ci sono stati lunghi momenti d'introspezione, come le cene tra donne al ristorante biovegetariano diventato il confessionale per me e un paio di amiche.
Ci sono mamma e papà, a 200 km da me, a cui è indirizzata ogni ricetta postata, non potendola condividere in presa diretta.
A tutte le amiche di pentola, ai compagni di tavola, ai miei quattro lettori fissi e a chi passa di qui per caso... buon natale !

domenica 4 dicembre 2011

Il pollo caramellato e il maestro Tatsumoto


Da giorni sentivo una certa voglia d'oriente, che mi ha portata a rivisitare, caramellandola, la classica fettina di pollo che mi aspettava per pranzo.

Cosa serve, per due:
300 grammi di fagiolini
400 grammi di petto di pollo (ho usato le fettine già pronte)
4 cucchiai di salsa di soia
1 cucchiaio di salsa worchester Lea Perrins
1 cucchiaio di miele d'acacia
4 cucchiai di olio evo
sale
pepe
coriandolo in polvere
peperoncino
2 spicchi d'aglio

Come ho fatto:
Ho pulito, spuntato e tagliato a metà i fagiolini e li ho precotti a vapore per 15 minuti, poi li ho tamponati e ripassati due minuti in una padella con un cucchiaio d'olio caldissimo e uno spicchio d'aglio in camicia, perché risultassero croccanti all'esterno.
Nel frattempo ho tagliato il petto di pollo a striscioline e l'ho infarinato leggermente.
In un wok ho amalgamato l'olio, la salsa di soia, la worchester sauce, il miele d'acacia, sale, coriandolo e pepe. Ho aggiunto uno spicchio d'aglio e peperoncino e ho scaldato il tutto. Quando il fondo di cottura ha cominciato a schiumare, ho aggiunto il pollo e l'ho fatto cuocere 10/12 minuti, mescolando continuamente per farlo ben caramellare. Dopo questo tempo, a cottura quasi ultimata, ho aggiunto i fagiolini già ripassati e ho amalgamato il tutto scuotendo il wok a fiamma alta per due minuti.

Ma da dove arriva questa voglia d'oriente, di yakitori, che mi ha portato a una versione estemporanea e orientaleggiante della fettina di pollo ?

Credo che sia uno strascico del recente corso a cui ho preso parte. Ho infatti ricevuto da D. un tanto inatteso quanto stupendo regalo: venerdì scorso mi ha invitata con lei al corso di sushi organizzato da Tad & Dans, tenuto dal maestro Tatsumoto.
Un maestro divertente e saggio, che, aprendo le danze, esibisce orgogliosamente il suo passaporto giapponese e fa volare le ore accompagnandoti nella preparazione di sushi e sashimi. Abbiamo preparato maki, uramaki e nigiri, mentre in chiusura Tatsumoto ci mostra la realizzazione di un conetto temaki.


Non si può certo dire sia una lavorazione semplice, specie per noi principianti.
Ero certa che per me non sarebbe stato un "buona la prima"... Sono poco paziente, poco accurata e, diciamolo, un po' pasticciona. Tuttavia la sensazione di aver realizzato da sola, ancorché rozzamente, questi piccoli rolls è stata gradevole.



Nonostante dal corso si portino a casa competenze e stuoietta, non è affatto detto che io trovi il coraggio di cimentarmi di nuovo in questa avventura in autonomia. Una cosa è certa: consapevole del lavoro a monte, il costo del take away mi sembra già più ragionevole !

sabato 3 dicembre 2011

La carbonnade fiamminga e l'oste di porta vescovo.


Sabato di pioggia, che fare ? La cocotte in ghisa è immeritatamente parcheggiata da troppo tempo, così mi decido a improvvisare una carbonnade fiamminga, basandomi sulla ricetta tratta dal bellissimo libro del cavoletto.
In casa sembra non mancare nulla, o quasi: il manzo da spezzatino c'è, la pancetta e le cipolle pure, lo zucchero di canna e l'aceto anche, la senape non è quella all'ancienne ma vabbé, il pane raffermo è pan bauletto integrale ma ce lo facciamo andar bene, le erbette aromatiche sul balcone sono morenti ma qualcosa si può recuperare... cosa manca dunque ?
La birra trappista !
Ecco dunque che urge un salto sotto l'acqua all'Oeffepì, l'osteria fuori porta, che in quanto a scelta di birre non scherza. La sottoscritta non beve birra e dunque si affida spesso alle competenze dell'oste in materia.
Fofò, devo fare la carbonnade... no, non la carbonara, car-bon-na-de, uno spezzatino fiammingo ! Ma dopo aver chiesto una trappista, magari una Chimay, come suggerisce Sigrid, si pone il dubbio su quale Chimay: bionda, rossa o scura ?
E così, l'acquisto della birra - che immaginavo e desideravo rapido - si traduce in una tavola rotonda sul tema che coinvolge i seguenti opinion leader e discussant: l'oste e la sua collaboratrice, un fulvo fotografo di quartiere, il giornalaio e un avventore baffuto che - se avesse avuto sciarpa e coppola - sarebbe stato Antonio Pennacchi sputato. Dopo dieci minuti in totale balia dei succitati personaggi, ritorno a casa con la mia Chimay infilata in borsetta. L'oste e il fotografo hanno deciso che per la carbonnade, o come cavolo si chiama quella cosa lì, ci vuole la chiara.

La ricetta è spiegata da Sigrid non solo nel volume, edito da Cibele, ma anche sul suo splendido blog.



giovedì 1 dicembre 2011

La vellutata di funghi e porri del mea culpa (e del giorno dopo)


Non devo dire mai certe cose. Quegli auto proclami che tirano più sfiga di un gatto nero il venerdì 17. Cose tipo oggi esco presto dall'ufficio. Tutte le volte che ho pronunciato una frase simile sono stata chiamata, mentre stavo per lasciare la scrivania, da qualche dirigente che - con premesse sospettosamente complimentose - mi scaricava una colossale fregatura con scadenze improbabili.
Non dovrei dire mai certe cose. Ma l'ho fatto di nuovo. Lunedì ho detto: questa settimana dieta sana, pochi carboidrati, zero dolci, tante verdure.
Martedì sera sedevo davanti a una pizza radicchio e grana. Ieri non parliamone. Cena da Monica con pane fatto in casa da lei e paté di fegatini preparato dal nostro amico toscano, una montagna di gnocchi (sempre specialità di Monica) al ragù, crema di mascarpone e amaretto con sfogliatine di Perbellini. Le verdure ? nel soffritto del ragù, suppongo.

Stasera cerco di correggere il tiro sfangando la cena con una vellutata di funghi poveri e porri.

Cosa serve (per due porzioni)

250 grammi di champignon freschi (circa 8 grandi)
10 grammi di porcini secchi fatti rinvenire in acqua tiepida e strizzati
1 porro
1 patata piccola
dado vegetale (io uso quello fatto in casa con Bimby)
acqua calda
50 grammi di latte
30 grammi d'olio evo (tre cucchiai)

Procedimento

Scaldare l'acqua a parte.
Tagliare i porri e soffriggerli con l'olio.
Aggiungere la patata, i porcini e i funghi champignon, puliti e sminuzzati.
Rosolare un minuto il tutto, aggiungere il latte e acqua qb, più il dado. Lasciare cuocere per 25 minuti.
A fine cottura frullare il tutto e completare con una virgola d'olio, pepe, sale affumicato di Danimarca, prezzemolo.

Con Bimby (adattamento mio):
Tritare il porro a velocità 5, aggiungere 30 gr olio e soffriggere 3'/100°/vel.1.
Aggiungere (pesandoli) patata e funghi. Sminuzzare con un colpetto a turbo. Aggiungere un cucchiaio di dado Bimby vegetale, aggiungere 50 gr di latte e la restante quantità di acqua calda fino ad arrivare allo stesso peso delle verdure.
Cuocere 25'/100°/vel.1. A fine cottura frullare 30' velocità 8.
Servire con olio, prezzemolo sale e pepe.

Già che ci sono, vi propongo anche la "variante del giorno dopo": la stessa vellutata ben densa, proposta in cocotte, scaldata e gratinata in forno con un po' di pane integrale, groviera a julienne e pepe.
Altrimenti che zuppa, due giorni la stessa zuppa !

domenica 20 novembre 2011

Domenica a Verona: la città che dorme, la fnac e i fondi di frigo. Breve storia di un cake salato radicchio e noci.


La domenica mattina, se sono a Verona, esco di casa abbastanza presto, prendo il mio caffé in pasticceria e mi incammino a piedi verso il centro, attraversando veronetta a naso in su, incantata dall'architettura e speranzosa di scoprire ogni giorno un abbozzo di cantiere, uno scampolo di riqualificazione di quello che ritengo uno degli squarci più belli e bistrattati di città.
E poi lungo ponte nuovo, via Stella, piazza Bra, porta Borsari e indietro, passando per piazza Erbe, via Cappello, ponte navi. Secondo caffé in pasticceria, qualora in mezzo non ci fosse scappato un "macchiatino con" da caffé Tubino.
Sono quei cinque chilometri a piedi (a bimestre) che a una cariatide come me danno l'illusione di aver perso mezza taglia e di essere pronta per il cammino di Santiago. E strizzano l'occhio indulgente a ogni caloria di troppo che arriverà nelle ore successive. Tutto questo accade verso le nove di mattino, sicché quando mi dirigo verso casa pensando a cosa cucinare, Fnac sta alzando le serrande e i veronesi cominciano ad arrivare in centro, facendomi sentire un salmone controcorrente.

Stamattina, al consueto pellegrinaggio fnac, reparto cucina (sì, quel reparto fornitissimo che cambia posto ogni mese, questa settimana è scivolato di due scaffali verso sinistra...) sono stata rapita dalla monografia di cake dolci e salati, edita da Guido Tommasi.
Ho resistito all'acquisto con un brevissimo training autogeno, dicendomi che, come spesso mi accade, riesco a comprare libri di cucina ritenendoli vitali e poi non fare nemmeno una delle ricette contenute per anni.
Tuttavia mi è rimasta, dalle 10.15 di stamattina, una certa qual voglia di cake salato. Così, verso ora di cena ho abbozzato un cake salato con funzione svuotafrigo, classico della domenica sera.

Cosa ho usato

60 grammi di farina integrale antico molino rosso
120 grammi di farina zero antico molino rosso
3 uova (in vero ho usato 180 grammi di albumi, reduci da un semifreddo zabaione)
1 bustina di lievito istantaneo per torte salate
10 grammi di latte
30 grammi di olio (10+20)
1 scalogno piccolo
40 grammi di noci
100 grammi di groviera
70 grammi di radicchio di Verona
70 grammi di duetto - mascarpone e gorgonzola (anche questo un fondo di frigo)
Sale e pepe


Come l'ho preparato

Il cake svuotafrigo è stato realizzato con Bimby, che mi consente di utilizzare un solo recipiente per tutti i passaggi, ma è assolutamente fattibile con le vie tradizionali.
Le mie istruzioni per il robot sono queste:

Ho tritato le noci grossolanamente, 5" / vel. 5, le ho messe da parte
Ho tritato il groviera 10" / vel. 7, ho messo da parte
Ho tritato lo scalogno 5" / vel. 5, ho aggiunto 20 grammi d'olio e ho soffritto, 3'/ 100° / vel. soft
Ho aggiunto il radicchio a striscioline, ho dato un colpetto a velocità turbo, ho aggiunto un'ombra di vino bianco e l'ho stufato 3'/ varoma / vel. soft / antiorario; ho messo da parte e ho pulito il boccale.
Ho messo nel boccale le uova, il latte e l'olio rimasto, sale e pepe e ho montato il tutto per 2' / vel. 4
Ho aggiunto le farine e il lievito, e ho amalgamato 1' / vel. 4
Ho aggiunto tutto il resto (noci, radicchio, groviera, duetto a tocchetti) e ho amalgamato di nuovo, stavolta con la funzione antiorario, per evitare di frantumare troppo noci e radicchio, per 1' / vel. 4
Ho imburrato e cosparso di pan grattato uno stampo da cake e ho versato il composto, che ha cotto in forno a 180° per 40 minuti.

martedì 1 novembre 2011

Dei sepolcri e del brasato con polenta


Il pranzo dei giorni festivi a casa di mamma richiama giocoforza momenti e piatti autunnali o invernali. Non credo ci sia una mamma meritevole di passare alla storia per l'insalatona con il tonno in scatola, suvvia. Sì, insomma... le mamme in cucina diventano famose per quei piatti fumanti e aromatici, quelle cotture lunghe che difficilmente ti metteresti a fare. Forse a Napoli la genovese, a Pavia la trippa, per esempio... La cucina della mamma è comfort food.
E di comfort food ce n'è proprio bisogno il primo di novembre, dopo il tour ufficiale per sepolcri. Un rito collettivo a cui mi sottopongo esclusivamente per rispetto alla mia genealogia passata e presente ma che trovo volgarmente pubblico e consumistico, alla stregua di San Valentino. Lo dico da vivida sostenitrice della Legge 130/2001, in particolare dell'art. 3 commi c ed e (rispettivamente diritto alla dispersione o affido familiare delle ceneri), convinta che gli affetti non debbano avere date, luoghi e tariffe comunali per essere celebrati o ricordati, e che la cosa sia un fatto estremamente privato.

Per fortuna, dopo l'escursione al monumentale, a casa di mamma c'è un favoloso brasato con polenta. Il salto tra le due tematiche è un po' poco lubrificato, mi rendo conto, ma tant'è. D'altro canto non sarebbe latte e fiele.


Come mamma ha preparato il brasato


Ha utilizzato un pezzo di manzo piemontese, un girello di spalla. Ha rosolato in pentola con olio un po' di cipolla, carota, sedano (tritati molto gossi). Ha aggiunto una garzina con alloro, rosmarino e chiodi di garofano; ha sigillato la carne in quel battuto, sfumando con un po' di vino rosso e aggiungendo in seguito un po' di passata di pomodoro e del brodo, preparato con il mio dado di carne, fatto in casa.Poi ha chiuso la pentola a pressione e se ne è parlato un'ora e dispari dopo.Questa fase per me resta un mistero. Le pentole a pressione mi fanno una paura fottuta. Irrazionale, lo so. Ma per me non poterne governare il contenuto, non poter mettere il naso nella casseruola mentre qualcosa cuoce è una tortura cinese. Le cotture a pressione per me restano un grande black hole.A cottura ultimata ha tolto la carne, preparando il sugo di accompagnamento. Ha tenuto da parte metà del fondo di cottura in pezzi e ha frullanto l'altra metà con il minipimer, allungandolo con un filo d'acqua bollente, poi ha unito il tutto e lo ha versato sul brasato.Nel frattempo abbiamo preparato la polenta. Siccome anche le mamme si evolvono, abbiamo preparato una polenta 2.0, ossia cotta al microonde con le istruzioni della prof di matematica (di cui ho già detto).


Come si cuoce la polenta a microonde


Per 4 persone
300 grammi di polenta non istantanea. (Noi abbiamo utilizzato una farina di mais dell'oltrepo, regalo di Vanna, proveniente dal Molino Bruciamonti di Santa Maria della Versa - PV);
1,5 litri d'acqua quasi bollente e salata;
1 cucchiaino d'olio.
Far bollire l'acqua, ben salata, a parte. In una terrina che vada in micoonde versare l'acqua bollente e salata, emulsionarvi il cucchiaino d'olio e versarvi a pioggia, mescolando con una frusta, la farina di mais. Poi cuocere a microonde, prima 5 minuti a 800 watt, poi 13-15 minuti a 500 watt, coperta con i coperchi forati in plastica specifici per microonde. Mescolare nuovamente per amalgamare meglio il composto e servire. Questa tecnica fa diventare quasi istantanea una polenta che altrimenti avrebbe richiesto 40 minuti di fuoco e gomito. Se non l'avessi vista (e assaggiata), non ci avrei creduto.
Tra pentola a pressione e microonde, devo ammettere che in fondo mia mamma è più smart di me... Se va avanti così, c'è solo da sperare che non si apra un profilo su feisbuc.

domenica 30 ottobre 2011

Veggie cake: una seconda chance per il broccolo puzzone


Avevo invitato una coppia di amici per una cena autunnale ieri sera, così organizzata:
per antipasto, una quiche di radicchio di Verona e gorgonzola dolce
per primo piatto, una vellutata di zucca con erba cipollina
per secondo, sottocosce di pollo alla salsa di soia e castagne con un contorno di verdure miste prese in gastronomia
per dolce, un semifreddo di marroni e croccante alle mandorle.
Per quanto fosse tutto perfettibile, specie la vellutata (troppo dolce) e il pollo (troppo poco cotto) non è avanzato nulla, salvo le verdure. Così stamattina, al rientro da un giretto in centro, mi sono trovata con zucchine trifolate, caponatina e broccolo lesso. Urgeva liberare il frigo, specie dal broccolo, e anche in fretta, visto che il pomeriggio andrà per il cambio di stagione negli armadi. Orbene, non sarà elegante dirlo, ma il broccolo cotto, abbandonato a se stesso, emana un cattivo odore. Solo una saggia e responsabile operazione di recupero poteva liberarmi dall'odor di broccolo, senza per forza buttarlo.
In queste occasioni, quando l'avanzo chiama, il mixer ti aiuta. Ho frullato una mozzarella (ma sarebbe stata meglio una provola affumicata), ho aggiunto un bricco di panna di soia, due cucchiai di grana grattugiato, due uova, sale, pepe, un cucchiaio di curry, una mezza bustina di lievito istantaneo per torte salate e ho riflullato tutto. Ho messo le verdure avanzate nello stampo da plum cake, mescolandole, poi vi ho versato il composto sulle verdure. Il tutto in forno già caldo a 175° per 30 minuti. Ecco il pranzo, qui presentato appena sfornato, pochi minuti fa, accompaganto dal fantastico pane fatto in casa da Monica.

Quelli che... il mulino non è bianco


Questo è un marchettone gratis et amore dei: vi racconto di una bella esperienza con un produttore di farine, l'Antico Molino Rosso di Buttapietra.
In settimana sono stata a un Corso di pizza napoletana organizzato dall'Antico Molino Rosso. L'antico molino rosso, nelle campagne a sud di Verona, produce e distribuisce farine biologiche di molti tipi che, insieme al lievito madre secco, uso da tempo e trovo regolarmente in commercio nel circuito Natura sì, per quanto la varietà di prodotti presenti allo spaccio aziendale sia completissima.
Trovo molto bello che le persone che vivono con passione il proprio lavoro, dedichino altrettanto tempo e altrettanta passione a raccontare a clienti o consumatori i valori che stanno dietro la propria attività.
E' quello che hanno fatto tre belle persone di nome Luana, Gaetano e Michele, spiegandoci perché la scelta bio, avviata in primis pensando ai consumi delle proprie famiglie. E perché la scelta preferibile dell'integrale. Per coerenza con questi principi non si trova la farina 00 Antico Molino Rosso.
E' stata una bella occasione per conoscere qualcosa in più su ciò che mangiamo. Il chicco di grano, per esempio. La differenza tra farine, una legenda per comprendere cosa significa tipo zero, doppio zero, uno, due...


Peccherei di presunzione se, dopo la lezione, potessi fiduciosamente dirmi capace di replicare al primo colpo la pizza napoletana come quella preparata al Molino, tuttavia al corso ho capito almeno due cose. La prima, il perché la "mia" pizza fatta in casa non poteva venire né decente, né tanto meno napoletana. La seconda, che per fare la pizza napoletana come da Manuale, bisognerebbe (almeno per me !) prendere le ferie, una laurea in statistica e cambiare il forno.
Se tutti coloro che si occupano a vario titolo di ciò che mangiamo (che fa le politiche, chi coltiva, alleva, produce, chi vende, chi lavora e cucina...) avessero almeno metà del senso di responsabilità che dimostrano questi produttori di nicchia, sono certa che vivremmo in un mondo un po' meglio di così.
Bravi !

Per chi fosse interessato: http://www.molinorosso.com

sabato 29 ottobre 2011

Culurgiones continentali


Quando, cinque anni fa in Ogliastra, ho assaggiato per la prima volta i culurgiones fatti in casa dalle mani di una signora di Lotzorai, ho trovato questo raviolo sardo semplicemente favoloso, sia per la fattura che per i profumi che sapeva sprigionare. Un piatto semplice, se ne si considerano le materie prime, eppure così regale nell'esito. E comunque, non avrei mai pensato allora di poterli realizzare in casa. Oggi invece, complici gli aiuti che vengono dal web e una recente nonché fugace trasferta in Sardegna che ha acuito la voglia di culurgiones... eccomi per la prima volta alle prese con una specialità regionale molto distante dalle terre che abito.

Cosa serve e come ho fatto

Per la pasta:
300 gr farina di semola di grano duro
150 ml acqua
5 gr olio
5 gr sale
Per il ripieno:
800 gr patate
300 gr pecorino fresco
30 gr olio EVO
1/2 spicchio d'aglio
10 foglie di menta



In sintesi, il procedimento prevede per la sfoglia un impasto con farina di grano duro, acqua, sale e olio. Non avendo macchinette tipo nonna papera, l'ho tirata a mano. Serve un po' di sciroppo di gomito... ma si può fare !
Per il ripieno, ho cotto a vapore le patate. Una volta fredde, le ho frullate con pecorino grattugiato, olio, sale, aglio e menta.
Infine ho tagliato la pasta con un coppapasta e ho affrontato l'impegnativa chiusura a spiga, seguendo un video tutorial su you tube. Il tutto con risultati probabilmente inguardabili con occhi sardi, tuttavia moderatamente dignitosi da una prospettiva continental-padana.
Dopo la cottura in abbondante acqua salata (lasciar bollire ancora qualche minuto da quando vengono a galla), vanno conditi con un sugo semplice: pomodoro, cipolla e basilico. Altro pecorino a spolvero.
Due precisazioni mi sento di fare: il coppapasta deve essere da 8cm, non più piccolo; inoltre la farina di semola di grano duro deve essere proprio farina (non semola rimacinata).

Le fonti on line

Per la ricetta, non sono stata certo a reinventare la ruota, ma l'ho presa da un contributo pubblicato sul sito Contempora: lo trovate a questo link (con le dosi indicate, ne vengono circa 50).
Per la chiusura, anche qui aiuta il web: ho copiato quanto mostra questo video su you tube.


Dedico questo post a tutti gli amici e colleghi originari di quella splendida isola: "i Pistis" trapiantati in Veneto (Antonio, Gigi, e Gianni), e quelli che hanno la fortuna di vedere il mare aprendo le finestre (Daniela, Domenico e Silvia, nonché Andrea e Paolo).
Più che il post... dedico loro lo spirito con cui ho cercato di cimentarmi in una specialità ogliastrina che richiede mano e forse un po' di quel DNA. Con il mio corredo genetico da pianura padana, il manifacturing ha ancora margini di miglioramento. Ma apprezziate il pensiero...



Con questa ricetta conterei di partecipare al contest dedicato alla pasta fatta in casa, per il compleanno di Fusilli al tegamino, il blog di Natalia

domenica 23 ottobre 2011

Addio estate: le melanzane sott'olio.


Non si può inaugurare il primo post d'autunno vero senza almeno un post d'addio all'estate. Ciò che mi mancherà di più, saranno colori e sapori. Le erbe aromatiche pronte sul balcone.
Il tentativo di fermare l'inesorabile trascorrere delle stagioni ha due forme: il vetro o il ghiaccio. Per salutare le melanzane, scelgo la prima, con una ricetta pescata su un Sale e pepe di settembre 2008 (e che copio così com'è).

Se c'è una cosa che amo delle melanzane è il colore. Purtroppo il colore viola delle melanzane svanisce in quasi tutte le cotture. Ecco perché ho trovato sfidante questa conserva: è una delle poche preparazioni in cui il colore dell'ortaggio viene preservato.


Melanzane sott'olio con gremolata d'agrumi

1kg melanzane violette piccole e sode
2 limoni non trattati
1 arancia non trattata
2 spicchi d'aglio
1 mazzetto di prezzemolo
4-5 rametti di menta
1 litro di aceto di vino bianco
olio extravergine d'oliva
sale grosso

1. Lavate e asciugate le melanzane, eliminate il picciolo, tagliatele a fette spesse mezzo centimetro, cospargetele con il sale grosso e fatele riposare per 6 ore. Strizzatele, asciugatele, tagliatele a striscioline e scottatele nell'aceto mescolato con un litro d'acqua per 2-3 minuti dall'ebollizione.
2. Lavate bene limoni e arancia, prelevate le scorze e scottatele per un minuto in acqua in ebollizione. Scolatele, ripetete il passaggio altre 2 volte, asciugatele e tritatele fini con gli spicchi d'aglio sbucciati. Staccate le foglie di menta e di prezzemolo, lavatele, asciugatele e tritatele.
3. Mescolate scorze, aglio ed erbe aromatiche, disponete le melanzane a strati nei vasetti già puliti e sterilizzati, alternandole con il trito preparato. Coprite con l'olio, chiudete i vasetti ermeticamente e sterilizzate per 20 minuti. Fate riposare le melanzane per un mese prima dell'uso: sono ottime con formaggi e salumi piccanti. Conservatele non oltre un anno.

E' tempo di castagnaccio. Finto.


Ho capitolato, ho messo le calze. E' definitivamente ora di farina di castagne e di castagnaccio. Le riviste di cucina e i blog si stanno scatenando sul tema. E per me è tempo di presentare il castagnaccio finto. Una torta che ha sempre fatto capolino nella mia cucina con l'autunno, più per la somiglianza visiva con il castagnaccio che per la stagionalità degli ingredienti. E' in realtà una torta di pane raffermo, un dolce povero e contadino. La ricetta con cui la realizzo da tempo risale agli anni novanta, mi fu data da Elena, una compagna di università, scritta e strappata dal quaderno degli appunti di glottologia I, di cui pubblico il pizzino originale, consunto e macchiato.

La ricetta di Elena era abbastanza a occhio, come dovrebbe giustamente essere. A cucchiai più che a grammi, a colori e consistenze più che a istruzioni. Dico giustamente per due motivi. Primo perché non immagino le nostre bisnonne, nelle campagne tra Vivente e Santa Cristina, preparare torte campagnole con bilancini di precisione da narcos. Secondo, perché tutte le ricette che prevedono l'inserimento di pane grattugiato in liquidi caldi, che siano latte o acqua, sono infatti potenzialmente "vittime" dell'effetto sorpresa dato dal rigonfiamento, a scoppio ritardato, del pane, per cui la prudenza è più saggia di qualsiasi bilancia. Ho tuttavia cercato di essere più precisa.

Cosa serve e come la preparo:

1 litro di latte intero
100 gr di zucchero
250 gr (more or less) di pane secco grattugiato
100 gr di amaretti grattugiati
1 manciata di uvette (ammollate nel brandy, asciugate e infarinate)
45 grammi (more or less) di cacao amaro
2 uova
1 pizzico di sale

Far bollire il latte con lo zucchero; incorporarvi il pane grattugiato, poco alla volta, lasciando che si gonfi e badando appunto ad ottenere una consistenza corposa ma gestibile; far intiepidire il composto, poi aggiungervi le uova, gli amaretti, il sale, eventualmente un po' di brandy usato per le uvette, le uvette e il cacao fino a rendere l'impasto scuro. Mescolare per bene e versare in una tortiera imburrata e infarinata. Cuocere in forno per circa 1 ora a 200° (ovviamente regolandosi con il proprio forno).

La preparazione con il Bimby deve tenere conto delle note di cui sopra circa il rigonfiamento del pane e le quantità "a occhio". Tuttavia si può descrivere così:
1. Tritare pane e amaretti separatamente a velocità 6, mettere da parte;
2. Far bollire il latte e zucchero (da temperatura ambiente) 10'/90°/vel.2;
3. Inserire poco alla volta, dal foro del boccale, a lame in funzione a velocità 3-4 antioraria, il pane grattugiato, lasciandolo gonfiare. Far intiepidire (nota bene: con questo tipo d'inserimento del pane a lame in funzione, la quantità va pesata in anticipo, per non interrompere la miscelazione con la funzione bilancia);
4. Rimettere in funzione le lame a velocità 4-5 antioraria, e aggiungere dal foro del boccale le uova, gli amaretti, il sale, il cacao e le uvette infarinate (con eventuale cucchiaiata di brandy di macerazione); potrebbe rendersi necessario aumentare la velocità, all'aumentare della consistenza. Trasferire in una tortiera imburrata e infarinata. Cuocere in forno per circa 1 ora a 200° (ovviamente regolandosi con il proprio forno).



Amarcord: varie ed eventuali.

Questa torta piaceva molto a un amico di Pavia, titolare di un'impresa di onoranze funebri. Gli ricordava sua nonna. La preparai per lui proprio negli anni universitari, su sua espressa richiesta, e gliela portai in... ufficio. Sono passati molti anni, ma ricordo ancora la noncuranza con cui, dopo avermi accolto, me la fece appoggiare a un feretro in esposizione.

Il quaderno del pizzino era di sicuro quello di Elena, la mia compagna, ed è facile dirlo non solo per la grafia, ma anche perché era a quadretti. Io odiavo i quaderni a quadretti e, per forma mentis, le discipline matematiche e scientifiche. E la cosa non è finita con gli studi.
Domenica scorsa ho incontrato, a un pranzo in collina, una delle "prof di matematica" della scuola media che frequentavo. Si parlava della sua tecnica di cottura della polenta a microonde. Lei ci dava le istruzioni, esprimendo la potenza in watt da utilizzare per ogni singola fase. Dico: il mio microonde non ha l'indicatore con i watt, ha solo delle % di potenza. Lei mi guarda sbigottita e dice: "prendi il consumo dal libretto di istruzioni e ti calcoli i percentili". Io la guardo con una faccia vagamente idiota, di quella che non ce la può fare.

giovedì 13 ottobre 2011

Tenera è la mattina (ferrarese)...


...se ad aspettarti c'è una mini torta tenerina di Ferrara. Che di solito, la mattina, di tenero c'è ben poco. Uscire di casa è un'impresa, con qualche incognita e qualche certezza.
Le lancette dell'orologio che sembrano girare a velocità supersonica...
Il guardaroba pieno zeppo, ma non di quello che vorresti...
L'aria d'ottobre pungente ma le calze... oddio non ancora...
Il sacco di abiti per la lavasecco...
Quello della raccolta differenziata...
L'auto che chissà dove l'avevo parcheggiata ieri sera...
Il barista sotto casa che rilascia scontrini solo nelle ore pari dei giorni dispari...
Il cartello che lampeggia "code in uscita a borgo roma"...
... e, dopo 9 chilometri nel traffico, il badge aziendale rimasto a casa nella tasca interna dell'altra borsa.

La voglia di realizzare una tenerina è uno strascico della mia recente domenica passata a Ferrara, per un incontro ravvicinato con la salama da sugo.
Uno sciame sismico di calorie che, inesorabilmente e insistentemente, si parcheggerà sui miei fianchi.
Adoro questa torta, sia perché non necessita di cotture lunghe, sia perché - con quella crosticina e il cuore tenero - si presta a soddisfare piccoli peccati di gola, tagliata a quadrettini per accompagnare il caffé.

Cosa serve:
200 gr di cioccolato fondente di buona qualità, tritato
100 gr di burro
un cucchiaio di farina
una bustina di vanillina
150 gr di zucchero, meglio se zefiro o comunque a grana fine
3 uova
un pizzico di sale
uno stampo da 24 cm

Come si prepara
Accedere il forno a 180° per il preriscaldamento.
Far fondere a bagnomaria cioccolato e burro; lasciare intiepidire ma non rapprendere; incorporare, con le fruste elettriche, lo zucchero, la vanillina, tre tuorli, il pizzico di sale, la farina. Montare i bianchi a neve e unirli delicatamente al composto. Trasferire in una teglia imburrata e infarinata. Cuocere in forno già caldo per 15' (regolare i tempi a seconda della potenza del singolo forno).
Consumare responsabilmente.

venerdì 23 settembre 2011

Dopo il tandoori, il companatico: rooti bread


Come Barbara, anche io amo la cucina indiana; ne considero il suo tempio a Verona il ristorante Elefante blu, accanto alla basilica di San Zeno, gestito da un signore gentile, composto e dolce. Poiché adoro il pane naan, specie all'aglio e al formaggio, un giorno ho provato a realizzarlo in casa, seguendo una ricetta trovata su un manuale di cucina etnica edito da Giunti Demetra.
Ebbene, un flop così galattico in cucina fatico a ricordarlo.
Quando andai al ristorante nelle settimane successive raccontai l'accaduto al signor Elefante Blu, che perse per un minuto il suo aplomb e si mise a ridere di gusto, tenendosi la pancia e canzonandomi in maniera indegna. "Naan a casa ? Noooooooo..." Mi disse che il naan è difficilmente riproducibile in casa, in quanto viene cotto a temperature molto elevate, attaccato come un geco alle pareti di un forno in pietra, il tandoor.
Sul naan ho gettato la spugna, ma nel frattempo è arrivata Valentina con la ricetta del Rooti bread. Mi sembra giusto presentarla oggi, come companatico al pulàstar tandoori di ieri.

Per 8 rooti (2 persone)

Impastare:
250 grammi di farina zero
120 grammi d'acqua
30 grammi di olio di semi di girasole (non amando gli olii di semi, ho preferito optare per un olio d'oliva tenue, quasi inutile, tipo Sasso)
una punta di cucchiaino di sale (io ho utilizzato l'affumicato di Danimarca).



L'indicazione per chi usasse il Bimby è di 1'30" a velocità spiga. La resa con Bimby é un impasto molto elastico e per nulla appiccicoso, tanto da non necessitare farina per le successive lavorazioni. Nella planetaria o a mano ci si deve regolare a occhio, non avendo provato non saprei...
Formato l'impasto, darvi la forma di un cilindro, tipo mattarello, lasciandolo così a riposo per 10 minuti. Dopodiché dividerlo in otto pezzi uguali (la forma cilindrica aiuta, tagliando prima a metà, poi a metà le metà, poi di nuovo a metà), formare delle palline, tirarle con il mattarello e farle cuocere su una piastra ben calda, cuocendo da entrambi i lati. Io ho utilizzato il testo da piadine. Il livello di cottura dipende dai gusti... c'è chi lo ama più croccante, chi più crudino...
Da mangiare assolutamente caldo, magari con un chutney.

giovedì 22 settembre 2011

Pulàstar tandoori (con riso biryani)


Il quartiere dove ho trascorso infanzia e adolescenza, e dove tuttora abita la mia famiglia, è una zona d'edilizia popolare, sorta negli anni 60 per far fronte all'esigenza abitativa e popolata sin da allora da numerose famiglie di immigrati del sud Italia. Quando andavo in autobus alla scuola media c'era una signora meridionale che saliva con noi studenti al capolinea. Parlava a voce alta e si ostinava a esprimersi in dialetto lombardo, con un risultato decisamente buffo e scomposto. La signora G. comunicava urbi et orbi sul bus, ogni mercoledì e sabato, che stava andando al mercato a comperare il pollo allo spiedo. La cosa le era costata il soprannome di "Signora Pulàsctar", dacché proprio non le riusciva di pronunciare il pollo - il pulàstar, appunto - senza quella "sci" che tradiva le sue origini.
Con l'auspicio di celebrare tutti i melting pot, tutti i tentativi - ancorché rozzi e per questo tenerissimi - d'integrazione tra le culture, vi presento il mio pulàstar tandoori, una libera interpretazione del chicken tandoori indiano accompagnato da un vegetable quasi-biryani.

Cosa serve, per due persone:



Per il pollo
4 sovracosce di pollo (circa 650 grammi lordi, 400 netti)
1 vasetto di yogurt magro bianco (125 grammi)
2 cucchiai di tandoori masala in polvere
Per il riso
80 grammi di riso bàsmati
25 grammi di anacardi
1 falda peperone rosso (50 grammi)
1 falda peperone giallo (50 grammi)
1 zucchina piccola (75 grammi)
1 spicchio d'aglio
1 scalogno
1 cucchiaio di zenzero fresco grattuggiato
1 cucchiaio di curry in polvere
1 cucchiaio d'olio extravergine d'oliva
Il tandoori masala si trova facilmente nei negozi etnici (dove lo compro io), ma è recentemente apparso - con il marchio cannamela - anche all'esselunga, reparto spezie (non conosco la resa di questo tipo).

Come lo preparo:



1. Privare il pollo delle parti più grasse e della pelle, sciacquarlo e praticare dei tagli longitudinali profondi, sino ad arrivare all'osso;
2. Mescolare il tandoori masala con lo yogurt, quindi mettervi il pollo a marinare, badando bene che la salsa penetri nei tagli praticati (io uso i guanti in lattice per massaggiare il tutto). Riporre il pollo a marinare in frigorifero coperto per almeno due ore.
Per la cottura, disporre il pollo in una teglia senza alcun condimento (solo con carta forno bagnata e strizzata) e infornare in forno già caldo a 200° per mezz'ora, quindi abbassare a 150°-160° e cuocere per un'altra mezz'ora.
Mentre il pollo cuoce, è possibile dedicarsi al riso.

3. Tritare tutte le verdure a brunoise.
4. Sciacquare il riso sotto acqua corrente, quindi metterlo a bollire in acqua salata insieme agli anacardi per poco meno del tempo indicato sulla confezione (nel mio caso, cottura di 9 minuti anziché 10); scolare e distribuire su un piatto per intiepidire.
5. Preparare un soffritto ben brunito - come si usa in India - con un cucchiaio d'olio, cipolla, aglio e zenzero, aggiungendo in ultimo a tostare un cucchiaio di curry. Aggiungere peperoni e zucchine e fare saltare per pochi minuti. Far intiepidire.
6. Assemblare il piatto. Mescolare riso e verdure, disponendoli in una ciotola a cupolina utile per essere rovesciata (può essere una ciotolina da macedonia, uno stampino da budino usa e getta…). Tenere in caldo.
Al momento di servire, capovolgere sul piatto il riso, aggiungere il pollo caldo e servire



Con questo pulàstar tandoori partecipo a Get an aid in the kitchen, promosso da La Cucina di Barbara. Buon comple-blog, Barbara !

Anche io, come lei, ho deciso per una volta di dare i numeri, raccogliendo qua e là informazioni sulle calorie degli alimenti. L'attendibilità scientifica è la stessa garantibile da topo Gigio (e qui mi fermo)...

domenica 18 settembre 2011

Coccole retrò: di nuovo il polpettone


Il polpettone è uno di quei piatti che fa sempre casa, fa sempre mamma. Il polpettone è una coccola retrò.
Al mare, un amico - che chiameremo avvocato Marras, in onore del personaggio del fumetto Fisietto - seduto accanto a me, aveva espresso una incredibile voglia di polpettone. La bizzarria di quel desiderio, che profumava d'infanzia, era il contesto in cui veniva espresso. In pieno agosto, durante un pranzo a base di pesce all'ittiturismo di Arbatax, davanti ad una montagna di scampi che impedivano di vedere il commensale di fronte. Eppure mi aveva contagiato, era più di un mese che agognavo un polpettone.
Solo di recente ho avuto il coraggio di accendere il forno, dando sfogo a questo capriccio con la ricetta del Cavoletto ormai consolidata. Sulle carni, ho provato a dar retta a un macellaio di quartiere, che mi ha consigliato un poker di bianche: pollo, tacchino, coniglio e maiale. Non male, ma con la rossa lo preferisco; questa variante ha una resa troppo asciutta.


Noi che siamo nati negli anni '70 abbiamo avuto mamme che, pur lavorando, erano costrette a cucinare. Perché la "cucina con la forbice", come mi piace definirla, quella che oggi salva la vita a tante mamme lavoratrici, non c'era ancora. E il freezer, quando c'era, non era molto capiente. Tra il "fast food" di un tempo ci ricordiamo le scatole di pizza istantanea Star, quelle con l'imbuto dosatore in carta. O ancora il puré in fiocchi con la carne in gelatina. Abbiamo visto nascere i bastoncini findus, le pizzette catarì, i sofficini. Il resto, si faceva tutto in casa, seguendo il ricettario Carli o quello della Star. Per noi, il polpettone era quello della mamma, che impastava con le mani un sacco di ingredienti, spesso di risulta. Non era certo il bon roll.

sabato 17 settembre 2011

Le cipolle del buon vicinato



La mia vicina di casa Giusy, riportandomi una teglia per crostate che le avevo prestato l'altra sera, salvandola in zona cesarini, mi ha fatto omaggio delle sue cipolle rosse. E' da poco rientrata da una vacanza a casa nelle sue terre d'origine, in Calabria. Mi ha precisato che le cipolle rosse, quelle "vere" e comunemente note per essere di Tropea, sarebbero in realtà di Ricadi.
Non so se questa notizia sia la verità o una faida tra campanili, come molto spesso capita in Italia; comunque sia... adoro la cipolla e questo dono non ha resistito a lungo nel frigorifero: é finito nel ripieno di una torta salata insegnatami da Chef Fill.


Cosa serve:

Due fogli di pasta sfoglia (io ho utilizzato quella già pronta)
6 cipolle rosse di Tropea... o di Ricadi
200 grammi di prosciutto cotto a dadini
200 grammi di provola affumicata a dadini
70 grammi di grana padano grattuggiato
un uovo
timo
olio evo, sale e pepe

Tagliare le cipolle e metterle a stufare nell'olio; una volta pronte, farle raffreddare (scolarle se presentassero troppo liquido), poi unirvi il prosciutto, i formaggi, del timo, l'uovo. Aggiustare di sale e pepe a piacere. Disporre nella teglia il primo di strato di sfoglia, poi l'impasto del ripieno, poi il secondo disco, chiudendo i bordi.
E' importante ricordarsi di predisporre un camino di fuoriuscita del vapore sul disco superiore di sfoglia. Si può fare con un forellino dentro il quale inserire un cono di carta forno.
Francamente non sono stata così paziente: ho praticato un bel foro grande con un coppapasta al centro della preparazione.
Si può decorare e spennellare con uovo, a piacimento. Io non lo faccio... seppur mi piaccia l'effetto laccato della sfoglia spennellata con l'uovo, non amo quel retrogusto di tuorlo. Così di norma metto un po' d'olio e semi di sesamo.
In forno caldo a 180°, cuoce in 40 minuti.


A onor del vero e dei miei natali, nonché per alimentare la faida tra campanili, va detto che anche in provincia di Pavia si mangia una cipolla dolcissima e molto buona: è quella rossa di Breme.

domenica 11 settembre 2011

Turisti per casa

E' un buffo privilegio, quello di fare i turisti nelle proprie terre d'origine. Quello di guardare casa tua con la giusta distanza. Abitare sempre nello stesso luogo ti porta a fare il callo su tutto. A non accorgerti delle piccole meraviglie quotidiane così come di difetti terrificanti.

Venerdì sera sono stata ospite a Vigevano della mia amica C., una donna colta e pragmatica che - per professione e formazione - è un cicerone d'eccezione.
La piazza di Vigevano (perdonerete la fotografia scattata con il cellulare) è un gioiello d'arte di cui la provincia di Pavia può andar fiera; un salotto a cielo aperto che incanta sempre. Complice però una guida preparata e indigena, è stato facile andare oltre questa piazza, assecondare la mia curiosità urbana, passare ore con il naso all'insù, entrare in corti private e scoprire mondi sommersi tra i vicoli del centro storico, o ancora scoprire come la realtà multiculturale si sta declinando in questa cittadina.
Poi c'è stato l'esilarante incontro con la comunità locale, dove la mia fama mi aveva già preceduta a causa del post sui cantucci salati.
Inaspettato show dopocena all'Antico caffé Ducale, dove sono spuntati, come conigli da un cappello, nell'ordine: un simpatico barista, sveglio e attento ai suoi clienti, un geniale poeta maledetto e - last but not least - il playboy del Sarrabus, ovvero un sardo a metà strada tra Antonio Banderas e i Tazenda.
Da ripetere.

martedì 6 settembre 2011

Il burro salato... senza Fiandino.

Ho adorato l'approccio, tradizionale e al contempo moderno, con cui Fattorie Fiandino si è presentata a un consumatore esigente. Ha scelto canali qualificati, anche se non necessariamente elitari. Ha scelto anche il mondo dei blog, affidando genialmente a Sandra Salerno il coordinamento di un'impresa editoriale e commerciale geniale. Ha sollecitato una raccolta di ricette a base di burro salato Fiandino proposte dai blogger, facendole diventare dapprima un contest, poi un libro.
Ho comprato anche il libro, attendendolo per giorni, nonostante non sapessi dove trovare burro salato a Verona. Ne ho ordinata anche un'altra copia per un'amica.
Ho apprezzato la rapidità e la cortesia con cui il signor Lelio di Fattorie Fiandino ha risposto alla mia mail in cui chiedevo lumi su dove o come trovare i loro prodotti qui in zona, inoltrando la mia richiesta alla ditta Valsana (che suppongo curi la distribuzione per Fiandino).
E qui finisce la favola. E' passato oltre un mese. Nessuna risposta. Nessun abboccamento commerciale. Niente di niente.

E così, complici un Bimby che trasforma facilmente la panna in burro, uno stampo in legno in attesa di battesimo, una buona panna fresca di centrale e fleur de sel di camargue a disposizione... adieu valsana, goodbye Fiandino. Peccato, però.



Come ho fatto il burro salato in casa (con Bimby)

Ho frullato in un mini mixer idoneo a gestire piccole quantità 10 grammi di fleur de sel, cercando di renderlo più fine possibile.
Ho montato nel Bimby con l'accessorio farfalla 500 ml di panna fresca 4'/vel. 4
Trascorso questo tempo, ho aggiunto 100 ml di acqua fredda, montando di nuovo 1'/ vel. 4.
Quindi ho aggiunto il sale, 10 secondi a vel. 3-4.
Infine ho scolato e strizzato il burro, depositandolo in una ciotola con acqua fredda e ghiaccio in frigorifero per solidificare.

Per canzonare i piemontesi, dunque... è nato così Latte e fiele 2011: il primo burro salato da panne inquiete.
Non so se le proporzioni di sale siano ortodosse; il libro di cui sopra parla di una aggiunta di sale alle panne riposate non inferiore al 2%. Il risultato è goloso, decisamente sapido e chiama a gran voce pane e salmone.

PS - La bella porcellana bianca della foto é un bel regalo di Valentina, in vendita da Soufflé.

domenica 4 settembre 2011

Vernissage in cocotte: ragù

In occasione del mio compleanno ho ricevuto fantastici giocattoli da cucina, grazie ad Arianna, Clara, Enrico, Paola, Simone e Valentina. E qualche giocattolo me lo sono pure regalata da sola. Dunque... un candido mini piatto con cloche in porcellana che sembra fatto per il blog, una commovente cocotte in ghisa Staub blu oltremare, tre mini cocotte Staub in ceramica, un tagliere da formaggi, uno stampo in legno per il burro, il cannello da brulée, canovacci così fini che fa quasi timore usarli. Inoltre tre libri: Torte dolci e salate, In viaggio con Bimby e Il burro salato. Il tutto é da circa un mese in spasmodica attesa di battesimo. E di una collocazione definitiva nei miei pochi metri quadrati, che sono ormai a rischio di implosione.
Non sono stati certo viaggi in mete esotiche ad avermi tenuta lontana dai fornelli per tre settimane. Il caldo e alcune situazioni contingenti hanno fatto la loro parte, così da farmi agognare la prima domenica di pioggia per spentolare e iniziare l'inaugurazione dei balocchi. Oggi, eccomi accontentata.
E cosa preparare, se non una scorta di ragù per le prossime settimane, battezzando così Madame Staub ?



La cocotte di ragù, a modo mio

una cipolla grande
una carota e mezzo
una costa di sedano
qb olio evo
un bicchiere di vino
500 grammi di trita scelta
450 grammi di salsiccia tipo luganega non aromatizzata privata della pelle e sbriciolata
350 grammi di polpa di pomodoro bio (io uso alce nero)
un cucchiaio abbondante di aromi in polvere a gusto (tipo carvi, chiodo di garofano, cannella, anice stellato, noce moscata...)
due rametti di rosmarino
sale e pepe qb

Tritare a mixer le verdure (non finissime), quindi preparare un soffritto facendole rosolare a fiamma media con olio extravergine d'oliva; qunado il soffritto è rosolato aggiungere la carne e la salsiccia e fare rosolare, finché il tutto si è colorato e sbriciolato per bene. Poi sfumare con il vino e far evaporare. Aggiungere il pomodoro e tutti gli aromi. Quando il tutto ha ripreso bollore stabile, abbassare la fiamma al minimo e far cuocere coperto due ore. Assaggiare, correggere di eventuale sale e pepe, aggiungere eventuale acqua calda se risultasse troppo asciutto. Cuocere un'altra ora sempre a fiamma al minimo, coperto.

Devo dire che la cottura con Madame è favolosa. In tre ore, il sugo ha mantenuto un'ottima umidità. Come dichiara il produttore, il sistema di irrorazione costituito dalle numerose semisfere distribuite sulla superficie interna piatta del coperchio, determina un effetto "gocce d'acqua" che ricadono di continuo sugli alimenti nella cocotte. Il ciclo di irrorazione consente di preservare tutti i sapori e i valori nutrizionali degli ingredienti. E che dire della bellezza di questa pentola ?

Risultato: circa 1,3 kg di ragù, che - al netto dei fusilli odierni - stasera finirà in freezer in comode porzioni da etto.

giovedì 11 agosto 2011

Senza vergogna

Certo che non hanno proprio vergogna, lì a Roma. Stanno preparando una manovra che incula nuovamente gli unici italiani inculabili, ossia i lavoratori dipendenti, e ovviamente sono pronti al varo nelle classiche settimane di distrazione feriale collettiva. Così quando torni da Viserbella ti trovi il regalo.
Poi, per pulirsi la coscienza e per mettere un segno di spunta sulla checklist politica alla voce "politiche antievasione", partono con uno spot televisivo anti furbetti fiscali.
Che ti vien da dire che la politica anti evasione la fai in silenzio con le fiamme gialle, non con la pubblicità. Ma d'altro canto, un paese che ha fatto la politica antipandemica con topo gigio, ci sta che faccia quella anti evasione con uno spot. E con la firma di quel ministro. Quel ministro che paga un affitto non registrato, allungando brevi manu qualche migliaia d'euro in busta chiusa. Quel ministro commercialista che nel 2008 ha dichiarato un reddito imponibile inferiore a quello di un impiegato.
Chissà se, per la campagna pubblicitaria, Saatchi & Saatchi l'hanno pagata in nero.

martedì 9 agosto 2011

Stavamo meglio quando stavamo peggio



Gli anni passano e, nei giorni attorno al mio compleanno, scopro una vecchia foto che mi vede in cucina, scattata nella casa che si prendeva in affitto per le vacanze, in collina.
Quando ero piccolina, si facevano le vacanze a Sant'Albano, una piccola frazione del comune di Ponte Nizza, nell'oltrepò pavese. Esattamente come a Dallas c'erano solo gli Ewing e i Barnes, a Sant'Albano gli abitanti o erano Rossi, o Schiavo.
C'erano tre imperdibili attrattive. Il forno, che sfornava dei biscotti buonissimi, ma che ricordo grandi come mattonelle. Erano di una frolla brunita, tagliati rettangolari come capitava con la rotella dentata da ravioli. Dal forno, che sulla soglia aveva quelle tende a fettuccia di plastica trasparente che non si vedono più, usciva profumo di pane vero, di quello ormai estinto e non ancora sintetizzato chimicamente.
Poi c'era la passeggiata nel bosco con le due fontanelle d'acqua surgiva, l'acqua solforosa e quella della madonna (così denominata per la statua votiva, non per il gusto). Si andava a prenderla con le borracce, in mezzo ai ragni, alle rane e ai muschi. Altro che Brita e plin plin.
Terza attrattiva, la coppa del nonno, il gelato al caffé che mi comprava al pomeriggio mio nonno Giuseppe. Tant'è che ho realizzato sono in anni recenti che "la coppa del nonno" fosse il brand del prodotto. Per me così si chiamava perché me la offriva lui. Mio nonno aveva uno spirito pulp: mi portava a bruciare i formicai con l'alcool e la carta da giornale, a staccare la coda alle lucertole, a mettere sotto conserva le lucciole. Roba che oggi gli animalisti lo avrebbero fatto arrestare.
Mia nonna, sua moglie, avrebbe dovuto portare un nome bellissimo, Ada. Uso il condizionale perché l'inizio della sua vita, della sua identità, nel 1910, si scontrò contro l'ignoranza onomastica di un ufficiale dell'anagrafe che, aggiungendo una D a caso, la costrinse tutta la vita a chiamarsi Adda, come il fiume. E così finì per essere per tutti Dina. Fu mia nonna Dina a comprare la crostata che vedete, al forno di sant'Albano, a metà degli anni settanta.

lunedì 1 agosto 2011

E son soddisfazioni

E certo che son soddisfazioni.
Non capita tutti i giorni.
Insomma, a lavoro i feedback positivi non piovono gratis.
Il vicepresidente - e dico: il vicepresidente - oggi mi ha detto: "hai un futuro".
Davanti a testimoni.

No, non si riferiva al mio contributo al sistema impresa.
Parlava della crostata di pesche bianche e lavanda che ho portato in ufficio.
Devo cominciare a preoccuparmi ?