mercoledì 12 dicembre 2012

Santalùssia: il Natale dei veronesi e le frolline (al pan di spezie)




Qui stanotte è Natale. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, a Verona i bimbi da secoli aspettano Santa Lucia. E' lei - e non Santa Claus, il 24 - a portare i doni ai bimbi buoni, riempiendo anche di dolci e frolline il piatto lasciato vuoto.
I bimbi l'aspettano ad occhi chiusi, perché la Santa potrebbe lanciare loro sabbia negli occhi, se li trova svegli o vigili. Sentiranno solo lo scampanellio dell'asino che accompagna la Santa in questa antica distribuzione.
La tradizione si dice ebbe origine nel XIII secolo, quando una epidemia agli occhi colpì i bambini. I genitori li portavano così in piazza Bra, scalzi, in pellegrinaggio dalla Santa. Era lì infatti, dove oggi c'è il municipio, accanto all'Arena, la chiesa di Sant'Agnese, nella quale si trovava una pala raffigurante le sante Agnese e Lucia.
Il pellegrinaggio, nei secoli, aveva richiamato attività commerciali ambulanti in Bra, ancor oggi presenti nella settimana che precede il 13 dicembre: i banchéti de santa lùssia, che vendono giochi e dolciumi.
E ricambi auto, pentole, panni in microfibra, cineserie varie.
Ma questa è un'altra storia.


Per trenta frolle al pan di spezie ho impastato:
250 gr di farina
100 gr burro
100 gr zucchero semolato fine
1 uovo
mezza bustina di lievito vanigliato
un cucchiaino scarso di pan di spezie
Per la cottura: in forno a 180° per 15 minuti.


Le dosi della frolla (spezia a parte) sono della mia collega Livia, cha fra poco ci lascia, rendendomi molto triste, sob. Un giorno, parlando della nostra golosità, mi ha detto: io mangio tutto, eccetto cani e bambini. Ma se non mi dicono che sono cani o bambini, potrei mangiare anche quelli.

sabato 1 dicembre 2012

Foodfriends: benedette polpette (ai due radicchi)


Come non  partecipare all'iniziativa della Roby ? Lei mi piace un sacco, il suo è un blog delizioso e l'iniziativa è tutto sommato semplice. Foodfriends = prendi un blog che ti piace, scegli una ricetta da forno che ti ispira e riproponila. Fin qui posso farcela.
Scelto il blog, la blogger, scelta ricetta, chiesto permesso via mail di attingere, ricevuto feedback tra il positivo e l'entusiasta, confermata la foodfrienship di pelle anche via mail.
Sull'esecuzione sono cominciati i problemi, perché una delle varianti non è riuscita come speravo, ma tant'è. Brutta ma buona, non la censuro. Se badassi più a come si presentano le cose da fuori anziché a come sono dentro, potrei murarmi in casa.
La parte più difficile viene qui. Raccontare il perché della scelta di quel blog/blogger.
Come ve lo racconto ? Di getto, mi viene in mente quella vecchia battuta delle Formiche: "mio nonno era così scontroso che sulla sua tomba, sotto la foto, c'era scritto: cazzo hai da guardare".

Mi spiego: nel rapporto con la rete e le tecnologie, va detto che sono a metà tra un orso e un dinosauro.
Il blog è stata un po' un'eccezione, che probabilmente sfrutto al 10% delle sue potenzialità.
Quando ho iniziato a postare ricette a... caso, non ho pensato che qualcuno - oltre mia mamma o Garzòn - potesse seguire il mio blog.
Era (ed è) per me come tenere un quaderno di ricette on line, anziché il solito pigna a righe con le patacche di burro e le pagine incollate causa bava d'uovo.
Non ho fatto granché per essere trovata, non sono andata in giro a lasciare pisciatine sui blog altrui.
Vi basti sapere che non ho Internet a casa. Sì sì, avete capito bene. Per collegarmi devo attaccare il cellulare al PC con un cavetto, rivolgermi a sud est, sperare che Vodafone collabori e che il muezzin della casa di fronte non faccia interferenza.
Per me dunque navigare, postare e girare sui blog altrui non  è così immediato. Non ho facebook, twitter ecc e a pelle li aborro anche un po'. Non ho una vita virtuale e faccio già una gran c... di  fatica a tenere aperto il mio profilo sulla vita reale.

Benedetta è stata una delle prime persone che non conosco direttamente a lasciare un reiterato commento sul blog e la prima sconosciuta ad iscriversi tra i lettori fissi. Potete dunque immaginare, nello scenario di disconnessione sopra descritto, lo stupore che ho provato quando mi sono accorta che una giovane architetto credo romagnola, titolare di un bellissimo blog, ricco di pensieri intelligenti e sostenibili, non solo era passata, ma era anche tornata.
(Benedetta, dopo la colpa c'è il dolo).
E' andata più o meno così: a. Cos'è questa scritta "lettori fissi" ?  b. chi ce l'ha messa ? c. chi è Benedetta Marchi ? d. che cavolo ci fa qui ? mi sono chiesta, nell'ordine indicato. L'ho seguita. Ho voluto assicurarmi che non fosse mia mamma, venuta a darmi sostegno sotto mentite spoglie. Non era mamma. Non poteva essere nemmeno Garzòn. Lui è camuno e dunque ha un DNA troppo virile per taroccarsi da donna.
Quindi Benedetta di Fashion Flavors non solo esiste, ma è tra le mie foodblogger del cuore, perché mi ha fatto capire che qualcuno stava sfogliando il pigna a righe.
Anche se continuo ad orseggiare giurassica, mi fa piacere saperla lì, sapervi lì.

La ricetta originale di Benedetta sono polpette di cicerbita.
Ma in Veneto, a novembre dicembre, non potevo che fare polpette al radicchio. Anzi no, ai due radicchi. Quello "di campo" e quello rosso di Verona. E con due radicchi diversi, abbinare due formaggi diversi, sempre a km zero, per dar spinta alla ricotta. Ho scelto monte veronese mezzano per il radicchio rosso e Kitz per il radicchio di campo. Il Kitz è il formaggio di capra della lessinia prodotto in Malga Faggioli; kitz in cimbro significa capretto.




Polpette al radicchio di campo e Kitz

Ho sbollentato il radicchio di campo circa 7 minuti, poi l'ho scolato e strizzato e fatto raffreddare. Poi l'ho tagliato a mezzaluna.
Ho preparato l'impasto delle polpette amalgamando:
1 etto di ricotta fresca del droghiere (non quelle del supermercato, sono troppo molli)
1 etto di radicchio di campo sminuzzato
un cucchiaio di grana grattugiato (al mixer)
circa 2 - 3 cucchiai di Kitz grattugiato (al mixer)
sale e pepe qb
Ho fatto le dosi per le singole polpette usando l'attrezzo del gelato, poi una volta polpettato l'impasto l'ho impanato con uovo e pane grattugiato.


Polpette al radicchio rosso e monte

Ho spadellato 5 minuti il radicchio rosso a listarelle con un filo d'olio e uno spicchio d'aglio, poi l'ho fatto raffreddare e l'ho tagliato a mezzaluna. Anche qui ne è venuto un etto, a fine cottura.
Ho preparato l'impasto delle polpette amalgamando sempre:
1 etto di ricotta,
il radicchio
un cucchiaio di grana grattugiato (al mixer)
circa 2 - 3 cucchiai di monte grattugiato (al mixer)
sale e pepe qb
Stesso procedimento per l'impolpettamento.

Poi tutto in forno già caldo a 200° per 15 minuti.



Ora, le polpette di radicchio rosso, forse per il tipo  di formaggio, forse perché il radicchio ha rilasciato più acqua, si sono appiattite e sono diventate degli orribili frisbee viola, ma giuro, erano molto buone lo stesso !


domenica 25 novembre 2012

Un capriccio 15x15 e una (inutile) frittata





Confesso. L'ho fatto ancora. Sabato sono inciampata in una padellina antiaderente quadrata. Esitavo idiota davanti allo scaffale sull'utilità dell'attrezzo. In fondo, cheppalle tutte ste pentole tonde, mi sono detta. Non è ingombrante, ho aggiunto. Il verde acido poi... è così carino. Quindi mi sono venute in mente le omelette arrotolate giapponesi: una sfida tecnica da affrontare. Poi dei possibili pancakes quadrati, magari salati. Poi dei cannelloni di crepes, magari con un ripieno autunnale da gratinare al forno...
Insomma, le ragioni per considerare assolutamente indispensabile il pentolotto di Barbie dadaista fiorivano più dei brufoli dopo pizza+tiramisù.
Per condividere con voi questo capriccio quadrato... ma soprattutto per far scendere di un posto in cronologia l'imbarazzante post sui topinambur, eccovi il mio fast food odierno.
Una frittatina al cimbro e champignon crema, giusto per togliermi la fregola di usare subito il padellino. Effettivamente, avrei potuto fare meglio... ma non avevo tempo. Il post è dedicato al mio self control zen davanti ai casalinghi, non certo ad un uovo sbattuto. Mi rifarò.




 


Ho rosolato i funghi, puliti e tagliati a fette, con una noce di burro e uno spicchio d'aglio in camicia. Ho pepato ma non salato. Li ho sminuzzati ulteriormente a fine cottura lasciandone un po' per guarnizione.
Ho preparato la frittata nello shaker (sì, avete letto bene; per la frittata uso quello tupperware) con le seguenti dosi a porzione, ossia a padellina:  due uova piccole, un cucchiaio scarso di cimbro, un fungo cotto e sminuzzato, un cucchiaino di prezzemolo tritato, un pizzico di sale.
Ho sporcato la padellina con un velo d'olio che ho steso con carta da cucina, l'ho scaldata a fuoco vivace sul fornello più piccolo, ho versato il preparato e ho fatto cuocere 4 minuti, abbassando poi leggermente la fiamma. Quando la frittata si è quasi totalmente rappresa, ho aggiunto le fette di fungo decorative, ho coperto con della stagnola bucherellata qua e là e ho lasciato terminare la cottura superficiale a fuoco basso per qualche minuto ancora.

Ultima cosina-ina: é uscito l'ultimo numero di about food, ho l'emozionante onore di essere presente (grazie Claudia e Leda) ma - al di là del mio piccolo contributo - è davvero un numero da non perdere.

domenica 11 novembre 2012

Risotto al topinambur, giusto per darsi delle arie.



Della serie: il post che una signora non dovrebbe mai scrivere.
Fortuna che di signore qua intorno non ne vedo.

Diciamo le cose come stanno. Non tutti i cibi sono senza conseguenze fisiologiche. Cipolla, aglio, asparago... Ma se pensate che il fagiolo sia il cibo dalla portata antisociale più... roboante, è perché non avete ancora incontrato il topinambur.
La forma è bizzarra, tant'è che più di una volta ho sbirciato nonnette cotonate al supermercato guardare le confezioni con aria interrogativa e prevenuta. La stessa aria diffidente che hanno (e che ho anche io, sob) guardando i gggiovani con il culo di fuori dai jeans.
Il tubero d'importazione ha un gusto buonissimo: una volta trifolato con aglio e prezzemolo è strepitoso, assomiglia al carciofo ma ha la consistenza della patata.
Il sapore del topinambur è così simile a quello dello spinoso ortaggio, che viene chiamato anche Carciofo di Gerusalemme. "Di Gerusalemme" perché gli amici e i conviventi si daranno a una fuga biblica appena si accorgerano delle sue conseguenze metaboliche.
Dunque, consumatene moderatamente e solo se non prevedete interazioni sociali nel breve.

Io ho approfittato del divieto di contatti con l'umanità a cui mi ha costretta una scintigrafia per togliermi la voglia, con un risotto. A fronte di un siringone di isotopi radioattivi sparati in vena, un paio di topinambur diventano borotalco. Uranio impoverito.




Cosa serve:

Quattro topinambour, lavati, pelati e tagliati a fettine.
Uno spicchio d'aglio schiacciato, infilzato con uno stecchino
Vino bianco a occhio, circa 30 ml
Olio extravergine a occhio, circa 20 ml
200 gr Riso Carnaroli (uso Castello di Mirabello - Pavia)
Burro, una noce
Pepe
Prezzemolo fresco sminuzzato
Brodo di verdure, a bollore

Il procedimento che ho usato:

Rosolare aglio olio e topinambur per 5 minuti in una padella. Aggiungere il riso, farlo tostare e sigillare per bene.
Sfumare con il vino bianco e far evaporare.
Aggiungere il brodo, prima a coprire in riso per bene, poi a rabbocchi continui mano a mano che asciuga.
Portare a cottura secondo il tipo di riso e il gusto personale (nel mio caso 18 minuti).
Togliere l'aglio (a questo punto si rivela l'utilità dello stecchino... visto che sembrerà un pezzo di topinambur cotto !)
Spegnere la fiamma (o abbassarla al minimo), aggiungere il burro e far mantecare. Spolverare infine con pepe e prezzemolo.

Non ho usato cipolla per il soffritto ma ho solo trifolato il tubero con l'aglio; per il brodo, ho usato il dado che faccio in casa con il bimby, in cui metto cipolla, aglio, sedano, carota, pomodoro, erbe aromatiche, zucchina.

sabato 27 ottobre 2012

Showcook Emile Henry da Soufflé: tanta voglia di lui

 
Mi arriva una mail da fonte gradita, Patrizia di Soufflé.

Oggetto: Pomeriggio di cucina francese (gulp).
Segue testo: Venerdì 26 ottobre dalle 16.00 alle 19.30 finalmente arriverà anche a Verona lo chef di Emile Henry (a-ri-gulp) che preparerà  tarte tatin (gulp) – tajine (gulp) – crème brulée (gulp) – fondant au chocolat (gulp) ! 
La lezione e la dimostrazione saranno gratuite (gulp) e si svolgeranno da Soufflé in Corso Cavour 15. Ti aspetto (gulp-gulp-gulp) !
 
Più che una mail, cara Patrizia, sembrava una istigazione a delinquere. Certo, era vagamente in orario di lavoro, ma sai com'è, è venerdì, alle 16... Insomma, vi piace vincere facile.
Va detto anche che negli ultimi mesi - complice anche il compleanno - ho arricchito la mia collezione Emile Henry: clafoutis, cocotte per rosolare della linea flame, lasagnera, oliera, stampo da cake... Nella wishlist ci sarebbero molti altri prodotti, ma ormai basta dare un occhio alla visura catastale del mio appartamento per capire che se porto a casa una tajine devo privarmi del bidet. Tutto non ci sta.
Comunque sia, l'occasione era troppo ghiotta.
Così ieri ho affrontato il mio capo serena e decisa. Citando i versi dei poeti Negrini e Facchinetti (correva l'anno 1971), alle 16 gli ho detto: Mi dispiace devo andare, il mio posto è là.
 
Sotto una fastidiosa pioggia, Valentina ed io siamo partite per questo delizioso showcook, accolte all'arrivo da un altrettanto delizioso bunet.
Abbiamo raccolto spunti interessanti per la tarte tatin: quella preparata in diretta (e rovesciata con invidiabile eleganza) era meravigliosa. Per non parlare del profumo di caramello che ha avvolto il locale.
Davvero un peccato aver dovuto lasciare l'evento prima della fine, perdendoci la cottura con una tajine di un bel colore bleu pavot.
Tre grazie: a Patrizia, per aver messo a disposizione il proprio negozio per una così bella iniziativa; a Romina Baratta, la chef cuneese che ci ha accompagnato in questo live; a Pauline, responsabile di Emile Henry per l'area nord-est. Il quarto - va da sé - a Valentina, compagna di avventure gastronomiche.
 
 
 
 
In assenza di specifica liberatoria, le foto saranno rimosse su richiesta dei soggetti ritratti
(lasciare un commento in caso).

sabato 20 ottobre 2012

Il gratin dauphinois di Joanne Harris

Il mio primo colpo di fulmine con un libro di cucina fu con "Il libro di cucina di Joanne Harris". Dopo aver visto il film Chocolat, tratto da un suo romanzo, volli assolutamente leggere i romanzi di questa scrittrice. Cominciai da Chocolat, appunto, poi vennero Vino patate e mele rosse e Cinque quarti d'arancia. Appena seppi che stava per uscire un ricettario della stessa autrice, andai a cercarlo.
Era il 2002, e il libro in questione era il primo che mi capitava tra le mani che non somigliasse al ricettario Carli o all'enciclopedia Curcio che campeggia ancora oggi sugli scaffali di mamma, rosicchiata dal criceto.

Il libro di cucina di Joanne Harris era un ricettario con reportage fotografico che esulava dalla semplice descrizione dell'esecuzione dei piatti, ma che piuttosto ti portava a spasso tra le insegne di latta delle boulangerie, tra i campi e i vicoli delle cittadine francesi, tra biciclette abbandonate con baguettes nel cestino. Visto oggi, un taglio editoriale attualissimo, se consideriamo che fu pubblicato dieci anni fa. Lo comprai alla libreria della stazione di Roma Termini per regalarlo a mia mamma.


Tra le mille ricette presenti, una che mi colpì per semplicità e golosità fu proprio il Gratin dauphinois. Ma in quel periodo, era il 2002, vivevo a Roma, obtorto collo: l'azienda per cui lavoravo a Milano era stata assorbita da un'altra romana. Vivevo dunque in un residence alla Balduina, l'appartamento era triste e impersonale, l'angolo cottura una specie di armadietto da caserma con una piastra appoggiata su un microonde rotto. Mi alimentavo a bresaola, porchetta e pizza bianca.
Nonostante il libro, non era tempo di gratin, foie gras e quaglie alle amarene, insomma.

Oggi quel volume, grazie ad un successivo regalo di Clara (che mi ha permesso di non rubare la copia di mamma), campeggia degnamente nella Billy bianca, in mezzo a Csaba, Donna Hay e Sigrid, con l'orgoglio da precursore di un nuovo modo di raccontare la cucina.
E il gratin, in soluzione monoporzionata, è un ottimo pretesto per usare le mini-cocotte regalatemi dagli amici al compleanno.



Sebbene sembri che il vero gratin dauphinois non preveda formaggio (a differenza della versione savoiarda), ho deciso di rimanere fedele alla ricetta di Joanne Harris, per 6 persone:

1 kg di patate
1 spicchio d'aglio sbucciato e schiacciato
100 gr di burro
1/2 l di panna da cucina
sale marino
pepe nero macinato al momento
100 gr di gruyère grattugiato

Scaldate il forno a 180°.
Pelate le patate e tagliatele a fettine sottili usando la mandolina, sistematele in una grande scodella di acqua fredda e mescolatele un po' in modo da eliminare l'amido in eccesso. Scolatele bene e asciugatele con molta cura.
Strofinate la pirofila che userete con aglio e un po' di burro (circa 15g).
Mettete il burro rimanente e la panna da cucina in un tegame largo, portate a bollore. A questo punto unite l'aglio rimanente, le patate, sale e pepe. Fate cuocere a fuoco lento per 8 minuti.
Versate il tutto nella pirofila distribuendo in modo uniforme, completate con il formaggio, aggiungete altro sale e pepe e infornate per 1 ora e mezza.


La mia versione, qualche dritta:
Per quattro cocotte, la dose è circa la metà e il tempo di cottura 45 minuti. Ho usato patate olandesi.
Usando la mandolina, è importante acquistare patate di una dimensione compatibile con il passo della lama. Affettandole, tenete in alto la "punta", ossia la parte più piccola della patata. Ci sarà meno scarto quando arriverete a quel punto in cui... o il dito o la verdura !




Anche Joanne Harris partecipa con il suo gratin a:


Tutto al gratin


domenica 14 ottobre 2012

Di disciplina gastronomica e di Gourmet (... non solo soufflé !)

Mentre pelavo le patate con l'Econome comprato da Soufflé, riflettevo sui fondamentali della cucina. L'Econome, mi raccontava Patrizia mentre preparava il sacchetto, è nato in Francia a fine degli anni venti e deve il suo nome al fatto che, permettendo di pelare le verdure con poco scarto, consentiva maggiori economie nelle cucine professionali e nelle cosiddette corvées de pommex de terre. Il nome Econome, marchio registrato, è diventato poi sinonimo generale di spelucchino da verdure.

Ho sempre immaginato che la pelatura delle patate stesse alla cucina come il CAR alla leva obbligatoria. Come dire... un addestramento propedeutico al filetto alla Wellington.
E, se di disciplina gastronomica si tratta, ho pensato di usare questo blog per condividere con voi una bellissima notizia per i veronesi (e limitrofi).


Soufflé, il negozio di accessori da cucina di Corso Cavour, da ottobre 2012 riparte con i corsi di cucina. La novità è che le lezioni si svolgeranno presso l'Associazione Culturale “Gourmet” che ha sede a poche centinaia di metri dal negozio.
In Via Disciplina 5 (una piccola traversa tra Corso Cavour e Via Carlo Cattaneo), Gourmet si è dotato di una vera e propria cucina attrezzata, dove i due Chef Giuseppe e Valentino metteranno a disposizione la loro creatività e professionalità.
Ma veniamo ai primi temi che saranno trattati:

Corso di preparazione di finger food:
• millefoglie di pasta fillo con porcini e formaggio Monte Veronese
• cannoncini croccanti con mousse di caprino e cipolla rossa di Tropea caramellata
• mini panna cotta con tartare di salmone marinato
Il corso verrà replicato nelle seguenti date: 23 ottobre – 25 ottobre – 12 novembre 2012.

Corso sulla preparazione di risotti:
• preparazione di ogni tipologia di brodo: carne – pesce – verdura
• risotto con pomodoro e mozzarella di bufala con croccante al basilico
• risotto con funghi porcini in cialda di grana
• risotto con capesante e zucchine
Il corso verrà replicato nelle seguenti date: 29 ottobre – 8 novembre 2012.

Corso sulla preparazione del pesce:
• approfondimento sui vari tipi di pesce e sulle tecniche di sfilettatura
• turbante di branzino con verdure e vongole
• filetto di persico ai pani profumati
• baccalà con crumble alle mandorle su letto di porri saltati
• salmone marinato all’aneto
Questo corso avrà come unica data possibile il 5 novembre 2012.

L’orario di ogni serata sarà dalle 20.00 alle 22.30/23.00 circa a seconda di quante saranno le domande poste agli chef. I posti sono limitati a circa 15 persone a serata; per l'iscrizione a Gourmet, le adesioni ai singoli corsi e ulteriori informazioni ci si può rivolgere a Soufflé in orari di apertura del negozio.

Soufflé srl
Corso Cavour 15
37121 Verona
telefono: 045.8011352
soufflesrl@alice.it

Sia chiaro: questo non è un marchettone. Sebbene personalmente non abbia ancora testato i corsi di Gourmet, mi prendo la briga di segnalare questa attività perché Patrizia di Soufflé è un'imprenditrice davvero outstanding per la sua energia, la sua professionalità e l'inarrivabile buon gusto. E penso che - oggi più che mai - la qualità vada premiata. Sono certa che metterà in Gourmet la stessa passione che trasuda dagli scaffali del suo negozio.







mercoledì 10 ottobre 2012

Cinquanta sfumature di mela (fool di mele alla cannella)



Forse avrei dovuto titolare questo post-ricetta apple fool, ma non volevo pensaste fosse un post-invettiva dedicato a tutti coloro che, pochi giorni orsono, hanno fatto la coda di notte davanti a fnac per accaparrarsi l'ultimo modello dell'I-phone.
Niente di tutto ciò. Solo un fool di mele: frutta, zuccheri e grassi.

Fatto è che questo dessert, qualunque frutta si usi, sempre "idiota" resta e le ragioni di tali sfighe onomastiche sembrano oscure anche a wikipedia, figurarsi a me.
Several authors derive it from the French verb fouler meaning "to crush" or "to press" (in the context of pressing grapes for wine), but this derivation is dismissed by the Oxford English Dictionary as baseless and inconsistent with the early use of the word.
Mettendo da parte studi etimologici troppo seriosi, potremmo ricondurre il nome al fatto che la sua realizzazione sia abbastanza a prova d'idiota e al fatto che, una volta pronto, solo un idiota potrebbe resistervi.

Davanti alla ampia scelta delle mele per questo fool, ammetto, ho vacillato qualche secondo.
Cinquanta sfumature di mela, roba da bestseller trentino.
Di tutte le varietà di mele, al palato amo solo le qualità dolci e farinose, ma devo dire che il colpo d'occhio dall'ortolano, con quella infinita tavolozza di cromie, dal verde acido al rosso passando per il giallo, é bellissimo e rappresenta al contempo un chiaro passaporto per l'autunno.
.. Non ditemi che è già ora di mettere le calze e revisionare la caldaia.


 

Cosa serve, per quattro coppette:

3 mele red o golden delicious
300 ml di panna fresca di qualità
1 cucchiaio di zucchero di canna (o semolato)
25 ml di brandy
una noce di burro
cannella in polvere qb
Se piace: 4 amaretti morbidi sbriciolati per il fondo delle coppette
Utensili: coppette, fruste elettriche e sac à poche con bocchetta a stella

Come fare:


Lavare con cura le mele, tagliarle a quarti e privarle del torsolo, poi a fettine senza privarle della buccia (meglio dunque se le mele sono bio).
Sciogliere in una padella antiaderente abbastanza ampia la noce di burro, aggiungere le mele, un po' di cannella e lo zucchero e far caramellare qualche secondo, poi sfumare con il brandy. Una volta evaporato il brandy proseguire la cottura delle mele per due/tre minuti (devono ammorbidirsi ma non troppo). Lasciare raffreddare.
Montare la panna (per un risultato ottimale deve essere ben fredda) e riempirvi la tasca da pasticceria.
Assemblare le coppette: prima l'amaretto, poi un po' del fondo di cottura delle mele ad ammorbidire l'amaretto, poi le fettine di mela, quindi la panna montata e per finire l'abbondante spolverata di cannella.

lunedì 1 ottobre 2012

Una domenica in Lessinia



Se si potessero utilizzare con la vita le scorciatoie che si usano al PC, su questo settembre io farei proprio un "select all" poi un CANC. Anzi, un bel Maius + CANC.

C'è solo un giorno da salvare, davvero uno solo: la domenica che ci è stata regalata in Lessinia da Stefano e Valentina, che hanno voluto condividere con gli amici l'inaugurazione del loro casale.
Siamo stati accolti in questo luogo incantato, in mezzo al bosco, ristrutturato con il gusto e il rispetto che contraddistingue i proprietari, in una giornata più che clemente, decisamente estiva per le temperature.


Confesso: quando ricevetti l'invito - Vale lo sa - ero terrorizzata dalla presenza di sei bambini. Non amo molto i marmocchi e mezza dozzina tutti in un colpo potevano essere letali. Per me o per loro. E invece, potere della natura... Nel giro di pochi minuti, dopo aver ingurgitato distrattamente qualche fetta di pane e abbandonato i giochini elettronici sul divano, i bimbi sono spariti in autogestione; si sono ammutinati e sono stati avvistati qualche ora dopo, in un campo più in là, in mezzo alle mucche, sereni e incantati da prati, pigne e pezzi di legno.


Noi invece ci siamo pigramente fatti coccolare dal sole e dai padroni di casa, dalle salamelle che Stefano arrostiva (arrostendosi) sulla brace, dalla tavola imbandita: due metri quadrati di delizie salate, seguite da altrettanta metratura di torte sparse.

Valentina come al solito si è superata con preparazioni deliziose al gusto ed alla vista, come i cestini in pasta fillo con caprino, fichi e crudo, la splendida focaccia alla cipolla di Tropea e la sbrisolona con il cioccolato fondente. Il tutto presentato con una grazia tale, pur nella rusticità del contesto di un pranzo in piedi, che sembrava di stare dentro le pagine di un libro di Csaba, tipo "La mia vita tra i cimbri".

La focaccia alle cipolle di Tropea e i cestini caprino, crudo e fichi di Valentina

La quiche alle zucchine di Alessia e la mia quiche provenzale

Il carosello glicemico di fine giornata: la torta con le more della Gabry, la sbrisolona di Valentina, la crostata di Daniela, la mia caprese al limone ('nzomma), la torta cacao e ricotta.

Ecco invece quello che Csaba non vi racconterebbe mai:
Dopo il pranzo, con tutto quello che vi ho mostrato sullo stomaco (e anche quello che manca al reportage), ci siamo addentrati a spasso nel bosco, fuori da sentieri tracciati. I bambini super arzilli, io nelle retrovie che arrancavo tra le conifere e le vistose tracce del passaggio bovino con la leggiadria di una foca enfisematosa.
Ultima chicca del reportage, la foto di Valentina che cerca di passare tra il filo spinato di una recinzione, uno scatto rubato a metà tra vecchio spot Olio Cuore e Billy Crystal in Scappo dalla città. Dov'è la foto ? Non c'è, non c'è. Vale è stata chiara circa l'uso delle foto che la ritraggono: se voglio tornare ancora con loro tra quei boschi, devo ingoiare la scheda SD !!!

Per la quiche provenzale (en passant)

Foderare una teglia con un rotolo di pasta brisé.
Tagliare le cipolle rosse (due) tenendone da parte qualche fettina per guarnire.
Rosolare in padella le cipolle per pochi minuti con abbondante quantità di erbe di provenza (uso un mix essiccato comprato ad Antibes) e un cucchiaio d'olio. Farle raffreddare.
Riempire la brisé con una scamorza affumicata tritata al mixer, le cipolle, una manciata di datterini tagliati a metà.
Versare sul ripieno un misto sbattuto composto da: un uovo, un bricco di panna fresca da 125, due cucchiai di parmigiano grattugiato, altre erbe di provenza, sale e abbondante pepe.
Rovesciare il bordo della brisé in eccesso verso l'interno, guarnire con fette di cipolla, fette di pomodorini e semi di papavero, poi cuocere 35' a 180° in forno già caldo.

sabato 8 settembre 2012

Vacanze 2012: ladin loving e la Linzer del rientro


Lunedì scorso sono rientrata  a lavoro dopo una (troppo breve) vacanza, tra catene montuose e catene unte... La montagna d'estate è bellissima.  Impagabile, direi. E se la montagna in sé è splendida, l'Alto Adige lo è ancora di più: adoro la cura e il rispetto che pervade ogni cosa, il senso del bello che trasuda da ogni elemento. L'ordine, il senso dell'equilibrio, il rispetto per la tradizione e la natura, la capacità di stare al passo coi tempi senza snaturarsi, il silenzio, i colori. Lascio parlare le mie cartoline anni '80 per raccontarvi la bellezza di questi posti.






E che dire del paradiso gastronomico altoatesino ? Se non fosse stato per le provvidenziali ore di camminate su e giù per i monti e per i fine giornata in spa, sarei potuta rientrare in città evitando l'Autobrennero, semplicemente rotolando a valle fino all'incrocio dei pali con la Serenissima. In quanto a sostenibilità ambientale, un rientro ecocompatibile.
Ebbene sì, é stato un impegnativo "tour de fork" di cucina ladina, a base di dolci, patate e soprattutto maiale affumicato (a colazione, pranzo e cena).
Certo, non mi sono potuta permettere un tavolo al St Hubertus, ma un piccolo assaggio in chiave molto "pop" della cucina di Norbert Niederkofler mi è stato possbile: Tortelli ripieni con paté di speck e ricotta di bufala su fondo di fagioli risina e aceto balsamico, una proposta gourmet concepita dallo chef stellato per uno dei rifugi dell'altopiano.

Il rientro è sempre duro, si sa. Appena tornata a casa, ho spalancato le imposte con il profumo di pino mugo ancora nelle narici e mi sono ritrovata di fronte un edificio oggettivamente brutto e scrostato, dove ogni inquilino ha scelto tende da sole della forma e del colore che cazzo gli pareva. Era lì anche prima della partenza, certo. Ma mi ha riportato in città con la grazia di un calcio in bocca.
Dopo giorni di prati verdi, gerani rossi, petunie fuxia, muri bianchi e travi in legno, a tre minuti dal rientro avevo già la bilirubina alle stelle. Se solo ci fosse nelle nostre città un decimo di quella cultura del rispetto e del senso estetico altoatesino, potremmo dirci fortunati.

Per non rischiare di dimenticare le vacanze, non manco mai di lasciare i luoghi di villeggiatura con una valigia di souvenir alimentari. Chissà se lo spaccio di kaminwurz è reato... Torno a casa con una voglia folle di cimentarmi in qualche piatto tipico. Quest'anno toccherà a canederli, gulash, minestra d'orzo... Fortuna che l'inverno è lungo, verrebbe da dire.

Per iniziare, intanto, vada per una Linzer, con la ricetta dell'immancabile Valentina (grazie!) e la confettura di mirtilli rossi presa in montagna. Come prima prova direi buona, ma da perfezionare nel manifacturing. Io e la pasticceria, si sa, andiamo poco d'accordo.

Cosa serve

250 gr di nocciole pelate e tritate abbastanza fini
250 gr di burro (compreso quello per la teglia)
250 gr di farina
250 gr di zucchero
250 gr di confettura di mirtilli rossi
1 uovo
1 bustina di lievito vanigliato
1 pizzico di sale
zucchero a velo per spolverare la crostata




Il come ho fatto ve lo risparmio perché, a onor del vero... la crostata l'ha fatta il Bimby in un paio di minuti. Dopo aver tritato le nocciole in 7 secondi a velocità 8, ha impastato tutto il resto in 30 secondi a velocità 3. Io mi sono limitata ad assemblarla, manco benissimo, e ad infornarla per 50 minuti a 180°. Ho usato poco di più di due terzi dell'impasto per il fondo, il rimanente per le losanghe superiori, appoggiate alla composta di mirtilli.

sabato 1 settembre 2012

Pensieri stupendi e la "capatouille"


Anche agosto è passato. Ho un anno in più, tre chili in più e poca, pochissima voglia d'inverno. Alla faccia di tutti coloro che agognano da settimane il fresco. Da ieri piove e ne ho già le palle piene.
Come ha già raccontato quel mito di Valeria qui, ad agosto come lei compio gli anni e quest'anno, per il mio compleanno, sono stata ricoperta di graditissimi giocattoli, principalmente per la cucina. E' stato svaligiato Soufflé, complice l'attentissima Patrizia. Sarà quindi un divertente esercizio per le prossime settimane, quello di ringraziare tutti i miei amici per il pensiero stupendo che mi hanno riservato, mostrando loro quale destino sia stato riservato ai fantastici attrezzi.
Comincio oggi proprio da Valeria e da un composito gruppo composto da Giancarlo, Maurizio, Monica, Roby, Seba, Stefy. E' della prima l'idea del volume di Guido Tommasi, preso proprio da Soufflé. E' La cucina delle verdure: una grafica bellissima e un taglio semplice e didattico, poiché è di una collana dedicata ai corsi di cucina.
Il gruppo di amici, quelli delle invernali "domeniche del porco", hanno pensato invece a coloratissime cocotte Le Creuset. Gli amici del porco, tutti con una spiccatissima vena artistica, hanno accompagnato le cocottes con un fotomontaggio... la mia faccia applicata a Colette di Ratatouille. Era fatto così bene che ci ho messo qualche minuto ad osservare che la faccia fosse proprio la mia. Ad un certo punto ho detto: Ma Colette non aveva gli occhiali... Oh-oh... quella non è Colette ! Da spataccarsi. La mia compagna di banco in ufficio, quando ha visto la composizione, non riusciva a smettere di ridere.

Il combinato disposto dei due pensieri (e del fotomontaggio) ha dato origine ad una... capatouille en cocotte. No, non è un refuso. Solo che non avevo voglia di olive e capperi, quindi non poteva essere una caponata. Ma non avevo voglia nemmeno di pomodoro, quindi non poteva essere ratatouille. Dunque, un po' di verdure con tanta cipolla  semplicemente arrostite per un'ora al forno, con basilico, sale, pepe, olio evo e qualche pinolo danno vita alla... capatouille.

Cosa ho usato
2 cipolle di tropea grandi
2 peperoni gialli
2 peperoni rossi
2 melanzane striate
5 zucchine
4 spicchi d'aglio
foglie di basilico
qualche pinolo
sale pepe e olio evo abbondante

Come fare
Tagliare le verdure a tocchetti di dimensioni proporzionate alla loro consistenza (più grandi le più tenere, più piccole le più consistenti).
Mettere tutto in una teglia (o in cocotte) con abbondante olio, pepe, pinoli e basilico e cuocere in forno a 200° già caldo, rigirando di tanto in tanto.
A fine cottura salare. E' buona anche fredda.

A breve vi racconto della mia settimana in montagna. Il pretesto per farlo... è in forno.

sabato 4 agosto 2012

La finestra di sopra, quella di fronte e il taboulé rinforzato.



Ho scoperto per caso la semola fredda come alternativa ad altri cereali nel 1991, durante una vacanza in Corsica. Ci fu servito il taboulé, che guardammo inizialmente con diffidenza prima di scoprire quanto fosse buono. Era vent'anni fa, e vent'anni fa - almeno a casa mia - non aveva fatto la sua comparsa nemmeno la pasta integrale. A casa mia c'erano le seguenti alternative: riso carnaroli, pasta lunga, pasta corta, pastina. E non è mai morto nessuno per questo. Altro che pasta di farro, pasta di kamut integrale, pasta alla spirulina, quinoa, amaranto, riso venere, basmati, riso rosso selvatico e tutta quella varietà imbarazzante di cereali & Co che riempie oggi le nostre dispense, diventate succursali del Natura Sì. Vent'anni fa, in Corsica, il cous cous servito freddo ci sembrò davvero uno strano piatto, che immaginammo figlio della storia coloniale francese.
Oggi la semola non fa più notizia. La uso spesso per il taboulé, arricchendo la ricetta tradizionale (con pomodoro, cipollotto e prezzemolo) con altre verdure. Mi piace questo piatto perché è velocissimo da preparare, non richiede l'accensione di fornelli per più di cinque minuti (teoricamente la semola potrebbe essere gonfiata anche senza fornelli). Inoltre il taglio delle verdure è un'operazione che mi diverte e mi scarica i nervi.

In settimana ho condiviso questo taboulé rinforzato con la mia vicina di casa. Una sorta di intermezzo gastronomico condominiale. La mia vicina di casa è uno spasso. Ogni tanto, dacché è estate e si può mangiare sul balcone, ci si trova a dividere una cena improvvisata. E' iniziata un po' per caso. E' successo che un lunedì sera stavo apparecchiando per la cena sul terrazzino; lei mi ha chiamata dalla finestra proponendomi di salire a mangiare il suo tiramisù dopo cena. Io le dico: perché invece non scendi a mangiarti il mio polpettone e porti giù il tuo dolce ? Da lì ci abbiamo preso gusto e, se possiamo, ogni tanto e rigorosamente senza preavviso si cena insieme e si conclude con un salto in gelateria.
Dopo cena, il solito gelato, i soliti due gusti: pesca al prosecco e crema Verona (crema al liquore strega e cardamomo). Poi camminiamo in quartiere a naso all'insù, amando entrambe l'architettura liberty decadente del nostro quartiere.
E, proprio perché amiamo l'arte, al rientro si finisce sempre a parlare del nuovo vicino, quello della finestra di fronte. Il non meglio precisato "tipo con il suv nero" che talvolta la sera si sfila l'accappatoio a luce accesa e senza tende, deliziandoci con il suo lato B, peraltro meritevole di citazione. Chissà se se lo immagina che, in caso di avvistamento, tra noi scatta l'SMS solidale ?


Per il taboulé
Far bollire in una pentola un bicchiere di acqua salata con un cucchiaio d'olio; appena giunge a bollore, buttare un bicchiere di semola, spegnere il fuoco, chiudere con il coperchio e lasciar gonfiare circa 5 minuti. Poi sgranare con la forchetta e trasferire in un vassoio ampio a raffreddare. Rimettere in un ciotola (non necessariamente una latta da ventresca ...) e arricchire con le solite verdure a cubetti: mezzo cetriolo, tre pomodori perini, un peperone giallo piccolo, il gambo di un cipollotto, olive, basilico, parecchio prezzemolo e abbondante menta. Condire con olio, limone, sale e pepe.
Io uso la semola Ferrero, mi garantisce la consistenza giusta a parità di quantità (a volumi, non in peso) di acqua e semola.

venerdì 20 luglio 2012

Pita salad... veronese


Ehm.... vengo subito al dunque: carne di cavallo, che ne dite ?

So già che molti inorridiscono alla parola carne, non parliamo all'aggiunta dell'aggettivo "equina". Le smorfie sul mio volto non erano tanto diverse otto anni fa, appena giunta a Verona.

'Sti veronesi sono proprio strani, mi dicevo. Mangiano cavallo, risini a colazione, chiamano la valeriana molesini, i fagiolini tegoline, l'asino musso, le rape naoni, i balconi poggioli e sono convinti pure di parlare italiano !

A Verona, di fatto, cavallo e musso  dominano nei menù tradizionali, le macellerie equine storiche sono numerose e - vedere per credere - hanno la coda fuori il sabato mattina.
Per me vivere un posto è anche, nei limiti del possibile, far propri gli usi locali, almeno in cucina; ecco dunque che gli sfilacci di cavallo sono stati, appena giunta in città, l'inaspettato e piacevolissimo icebreaker tra me e la carne equina.
E' carne salata, essiccata, affumicata e sfilacciata. Si serve spesso come la bresaola, con rucola e grana d'estate e con radicchio e grana o provola affumicata d'inverno. E di norma, piace anche a chi giurerebbe sui figli di non voler assaggiare nulla che abbia mai nitrito.
Per me lo sfilaccio diventa un elemento interessante per arricchire le insalatone estive con una proteina. Inoltre si trova facilmente al supermercato e si conserva in frigo a lungo. Insomma, un jolly.

Siccome però l'estate è piena, ho pensato ci volesse una deriva esotica... che col cavallo... parliamone !!!
Mi sono dunque chiesta: cosa succede shakerando un pita gyros greco, un'insalata fattoush libanese e carne di cavallo essiccata, così tanto ... veneta ?



Ne è uscita questa cosa qui, che un nome non ha, ma che mi è sembrata simpatica e appetitosissima, specie con un po' di dressing allo yougurt. Sconfinando verso lo street food mediorientale, ho scelto di gustarmela tra i tetti, in quel già citato buco di terrazzino (o poggiolo, che dir si voglia) che ironicamente ho ribattezzato roof garden.


Come l'ho preparata

Ho preparato le pite, preferendo la cottura alla piastra rispetto a quella al forno che sarebbe tradizionalmente indicata. Il forno, no... non ce la posso fare. Ho dunque impastato a mano tre cup di farina, a cui avevo aggiunto e amalgamato 1 cucchiaino di zucchero, uno abbondante di sale e mezza bustina di lievito istantaneo, con 1 1/2 cup di acqua. Ho coperto con pellicola e lasciato riposare mezz'oretta.
Nel frattempo ho preparato il ripieno, il dressing, e steso il bucato (ma questa è un'altra storia).
Ho tagliato in piccoli pezzi cipollotto, peperone, cetriolo, pomodoro e spezzettato qualche foglia di basilico e menta; ho condito con sale, pepe, coriandolo, un po' di aceto balsamico e qualche goccia di succo di limone e ho lasciato marinare qualche minuto. In ultimo ho aggiunto gli sfilacci e mescolato.
Per il dressing, ho insaporito 100 ml di yogurt intero con cipollotto, erba cipollina, menta, basilico, un micron d'aglio, sale e pepe.
Una volta riposato l'impasto, l'ho steso in palline (ne vengono 8 con le dosi indicate), l'ho tirato abbastanza sottile e ho cotto le pite sulla piastra ben calda, circa un minuto per parte.
Appena calde le ho arrotolate e le ho riempite.
Magiare subito, con involucro caldo e ripieno freddo.

Ok... sarò anche pazza a  presentarmi a un contest con una proposta di carne equina, ma l'importante é partecipare. Eppoi, il rosa non mi piace nemmeno tanto,  é così da femmine ! ;-)

domenica 3 giugno 2012

Lo stress, il lievito madre e lo stress da lievito madre

La stanchezza cronica sembra essere il tratto comune di tutti i miei conoscenti titolari-blog: Monica, Valeria, Bobo, Alessandra.
Siamo tutti distrutti, spossati, svogliati. Avremmo cose da raccontare ma troppi arretrati e mente troppo poco fresca per scrivere qualcosa di non appannato. Proliferano post di scuse per l'assenza o la latitanza et similia.


A soffrire di questo periodo d'incuria da stress, oltre alla sottoscritta, è anche Vito, il mio lievito madre, che qualche settimana fa ha tentato il suicidio.
Vito è nato durante le vacanze di natale ed è in breve diventato vivace e baldanzoso nonostante non ci avessi sperato più di tanto. Non contavo sarebbe nato, né, una volta generato, immaginavo sarebbe sopravvissuto oltre gennaio. A fine marzo, data di questa foto, era bellissimo.

Purtroppo, però, non panifico praticamente mai, ho orari piuttosto scombinati, non sono costante nei rinfreschi e quando lo rigenero, più che amore gli trasmetto vibrazioni negative della serie: che-rottura-di-co...ni-chi-me-l'ha-fatto-fare-e-che-spreco-di-farina.
In questo scenario, ad aprile, Vito ha iniziato a inacidirsi e a rifiutare di collaborare. Come dargli torto ? Tuttavia, dato il periodo di quelli che "ci mancava solo il lievito ammalato", ero già pronta per dargli l'estrema unzione.
Tra un treno e l'altro, alla feltrinelli di Milano centrale, mi imbatto nel volume di Antonella Scialdone (del blog pappa reale) sulla pasta madre. Decido di armarmi di pazienza e tentare un ultimo rinfresco seguendo qualche indicazione presa dal libro. Ebbene, Vito ha risposto abbastanza bene. Non è ancora in formissima, ma sta migliorando.


Stamani, dopo l'ultimo rinfresco di ieri sera, occhieggiava fitto dal bormioli. Mentre scrivo, in forno cuoce un filone di pane a lievitazione naturale.
Staremo a vedere...

Aggiornamento delle 17:25.

...Ebbravo Vito !


Come ho fatto: Ho sciolto a mano 150 grammi di lievito madre in 330 grammi d'acqua tiepida. Ho versato nell'impastatrice, aggiunto un cucchiaio raso di malto di riso bio, poi 500 grammi di miscela di farine di frumento alta qualità per pane del molino rosso, infine 10 grammi di sale fino. Ho fatto impastare per due minuti (nel bimby, a vel. spiga). Ho lasciato lievitare in una ciotola unta e coperta sino a raddoppio, poi ho steso l'impasto in un filone e ho lasciato rilievitare mentre portavo il forno a 230° statici. Ho infornato per 40 minuti. Ho sfornato e cosparso di semola rimacinata.

sabato 12 maggio 2012

La nuova interfaccia di blogger mi urta i nervi.

Ciò detto, postiamo.

Dovete sapere che nel ponte 25 aprile - 1 maggio ho guadagnato tre chiletti abbondanti. Così, alla ripresa del normale train de vie, mi sono imposta di moderarmi un po'. A pranzo spesso mi aiuta la mia amica Vale, che condivide con me tanto i buoni propositi quanto la propensione allo sgarro.
Ci controlliamo reciprocamente i vassoi del self service... tristezza nella tristezza.
L'altra sera ho partecipato con lei ad una serata tra noi "befane " ;-), che prevedeva cena allestita sul momento come prestesto per una dimostrazione di noti contenitori in plastica.
Abbiamo cucinato insieme, cogliendo l'occasione per condividere ricette nuove ed esperimenti in diretta.
I miei propositi erano due: mangiare solo pollo e verdurine e non spendere soldi in barattoli costosissimi.

Secondo voi... com'è andata a finire ?


Risotto al basilico e cipollotto dolce
Tatin di peperoni (da accompagnarsi con burrata, pena cazziatone della Vale... ne so qualcosa)

Gelato pistacchio e miele home made


Torta marsalata al cioccolato
Sul proposito no-shopping... parlerò solo in presenza del mio avvocato.

Ringrazio Anna, Silvia, Valentina e Valeria per la bella serata. Valeria (di Pane per i tuoi denti), grazie per il tappetino da impasti in silicone, fantastico !