martedì 26 agosto 2014

Rientro alla base e cronache dal forno. Le patate Hasselback con...


Sebbene la mia estate sia stata "casalinga", senza grandi spostamenti né partenze, è stata un'estate a fornelli spenti.
Non ero a casa mia e non ho avuto occasione di affrontare nemmeno il primo item della lunga lista di "ricette da provare" che mi ero appuntata in un anno di sciopero dei fornelli per overlavoro.
Un po' frustrante da un lato, sicuramente riposante dall'altro. Il lato migliore, peraltro.

Cervello a emissioni zero, lievissima abbronzatura a forma di ciabatta Madrid Birkenstock sui piedi, tre ricettari, un romanzo e un gatto (quando non tre) a fianco della sdraio o sul divano.
Quali i libri in borsa ?
Romanzo per signora, di Piersandro Pallavicini
Wok, di Barbara Torresan
Pasta madre, di Riccardo Astolfi
Around Florence, di Csaba Dalal Zorza
e l'immancabile rispolvero agostano di Summer holidays.
Tanta pioggia sul Lago di Garda, da non vedere la sponda bresciana.

Sono rientrata a casa domenica con un mazzo di rosmarino e salvia presi dal giardino del ciclista e la voglia insoddisfatta di spadellare, magari mettendo in forno un secondo non proprio estivo. E così ho fatto.

Al secondo ho abbinato un contorno svedese "storico": le scenografiche patate hasselback.
Le patate dell'IKEA, come le chiamo io. Che è più una ricetta da metro di carta svedese che da mestolo.

Le ho tagliate, le ho aromatizzate con olio, le erbe aromatiche prese al lago, sale maldon affumicato e posizionato su fette di pancetta arrotolata, prima dell'ora di cottura al forno a 200°.




C'è un trucco tecnico per fare il taglio perfetto: far passare uno spiedino alla base della patata, a meno di un centimetro dal fondo, per il senso della lunghezza. Lo spiedino, che andrà poi rimosso prima della cottura, serve ad arrestare la lama del coltello in maniera sicura e uniforme, permettendo un taglio a ventaglio più sicuro.
Io ho usato il sottilissimo e lungo ago del cake tester.
Valentina, mai regalo apparentemente più inutile si rivelò poi così utile.
Avresti pensato che ci avrei fatto mesoterapia ai tuberi ?

Faccio un regalo a chi indovina che secondo ho preparato.


Torri del Benaco, Verona,  agosto 2014








mercoledì 20 agosto 2014

Del riso non si butta via niente. Risotto reloaded (al salto)


Il mondo è bello perché è avariato, diceva mio nonno.
Sebbene viva in terra di buoni risi (a Verona compro il vialone nano di Ferron), io il carnaroli continuo a comprarlo a Pavia. Per affezione, per campanilismo.
Lo prendo nell'azienda agricola di Franco Calcaterra, Castello di Mirabello - Cascina Bompiumazzo, e lo esporto abusivamente in dosi prossime al consumo personale a Verona.
Un souvenir per le mie amiche che hanno imparato ad apprezzarlo.
E se avessero visto il coltivatore, apprezzerebbero anche lui, che con quegli occhi blu cielo riflesso in risaia è più belloccio di Ferron.
Quando a Verona il carnaroli omaggiato finisce, mi giungono richieste di re-supply.
A quelle giunte in tarda estate ho sempre nicchiato, rimandando in attesa del nuovo raccolto.
Che mi sembrava cosa sensata.
Per ottobre ci sono i nuovi arrivi, collezione autunno-inverno.
Anche le tele dei sacchetti con cui è confezionato cambiano fantasia ogni anno, e per fortuna qui non va l'animalier.

Al mond l'è bel parché l'è avarià.
Leggo che spopola un riso carnaroli piemontese invecchiato, anche sette anni. Come il Jack Daniels. E' ricercato dagli chef, pregiato per la lavorazione e la resa.
Tant'è che lo trovi in vendita a prezzi folli nei posti fighetti, mica al supermercato. In libreria lo compri, mica all'A&O.
E io che il carnaroli di Franco, quando è passato di scadenza, lo butto.
Che pirla.
Adesso che lo so lo travaso, lo porto in soffitta e ci pensiamo nel 2020.
Che qui, non è tempo di sprechi.

A proposito di sprechi, a Pavia, il riuso del riso avanzato non si chiama arancina, non si chiama supplì.
Si chiama riso al salto e credo possa essere considerato il cugino nordico della frittata di maccheroni napoletana.
Un piatto così tradizionale e gustoso da perdere la denotazione di piatto di risulta e da entrare orgogliosamente in carta anche nelle osterie locali, come dal Giugaton.

E poi, si prepara molto semplicemente.

Con il risotto avanzato che si ha. Giallo, con la salsiccia, con i funghi...
Non serve null'altro che dell risotto avanzato, olio, burro e una padella antiaderente.
A me piace il "monoporzione", facilmente gestibile con una coppia di padelline se si è solo in due.

Si fa sciogliere un mix di olio e burro in una padella di dimensioni proporzionate alla quantità di riso avanzata.
Una volta caldo, si sposta un attimo dal fuoco, si trasferisce in padella il riso avanzato schiacciandolo leggermente con le dita bagnate, per compattarlo a mo' di tortino e si rimette sul fuoco.
Si lascia rosolare il riso senza toccarlo (al massimo solo scuotendo leggermente la padella) sino a far formare una bella crosticina arrostita; a questo punto, aiutandosi con un piatto, lo si rovescia e si prosegue la cottura anche dall'altro lato.


lunedì 4 agosto 2014

I cracker, il forno acceso e i nani da giardino






Sabato sera a cena gli amici ci raccontavano della querelle nata da una pubblicità televisiva di IKEA, ritirata perché aggressiva nei confronti dei nani da giardino.
Potere del comitato di tutela dei nani in questione che, scopriamo, in certi paesi ottiene di più dalla controparte di quanto possa ottenere il comitato delle vittime di mafia in Italia.
A riprova, basti pensare che i nani da giardino in Italia  sono stati collocati in uno spot ad annusare fosse biologiche, e nessuno ha fatto nemmeno una pince a loro difesa. Neanche un plissé.

Dopo questa, io comincio ad avere paura per il mio nano con pala. Spalamèrdolo, così si chiama (essendo un regalo tra colleghi), da anni non vede un bosco o un filo d'erba, perché vive sulla mia scrivania.

Nella speranza che Spalamèrdolo non mi venga rapito, ritengo sia invece ora di costituire un comitato di liberazione di muffin dolci e cupcakes.
Un movimento gastro-anarchico-surrealista che li faccia sparire dalle cucine, dalla TV e dai blog e che li liberi nel loro habitat naturale, ossia il sacco dell'umido.

Di norma i mesi estivi ci graziavano. A forno spento, per tre mesi ce ne liberavamo dai coglioni.
Ma quest'anno no.

Se il blogroll pullula di prodotti da forno a fine luglio - inizio agosto e la colpa non è di un contest a tema o del MTC, significa che è un'estate balorda.
E, ultimamente, nella mia lista delle letture appaiono più crostate che mozzarelle, più muffin che paste fredde. Le quotazioni della melanzana reggono, ma il più delle volte anch'essa esce dal forno. Magari in un muffin salato.

In quest'estate un po' così, una di quella estati in cui il gatto sulla pancia la sera non ti da più di tanto fastidio, anche io ho acceso il forno, per provare a fare i cracker.

Ho fatto un impasto base, variandolo poi con aromi o coperture:
l'impasto alla paprika affumicata
la copertura con sale affumicato
quella con semi di sesamo
quella con semi di papavero
...i miei preferiti sono stati quelli fatti con fior di sale in cima e paprika affumicata nell'impasto. La paprika li ha resi leggermente rossicci, ma con le dosi di spezia avrei dovuto osare di più... è così buona !

Non che ci fossero dubbi: l'affumicato per me è il sapore che preferisco in cucina.
Ne sono drogata: che sia salmone, provola, scamorza, ricotta, mozzarella, speck, kaminwurst, salsa barbecue... mi piace sempre. E l'aringa è l'eccezione che conferma la regola.

L'impasto base:

250 g di farina zero
125 g di acqua
5 g di sale
un cucchiaino colmo di strutto

Impastare nella planetaria per 3 minuti. Far riposare la pasta coperta da pellicola per 15 minuti poi stendere con il mattarello infarinato sino a 2-3 mm di spessore.
Con un tagliabiscotti preparare le forme, poi bucherellarle con una forchetta.
Spennellarne la superficie con acqua e farvi aderire l'aroma prescelto (semi, sale...)
Disporle su una placca da forno coperta con carta oleata e cuocerle per circa 10-15 minuti (sino a che dorano, dipende dai forni).