domenica 30 ottobre 2011

Veggie cake: una seconda chance per il broccolo puzzone


Avevo invitato una coppia di amici per una cena autunnale ieri sera, così organizzata:
per antipasto, una quiche di radicchio di Verona e gorgonzola dolce
per primo piatto, una vellutata di zucca con erba cipollina
per secondo, sottocosce di pollo alla salsa di soia e castagne con un contorno di verdure miste prese in gastronomia
per dolce, un semifreddo di marroni e croccante alle mandorle.
Per quanto fosse tutto perfettibile, specie la vellutata (troppo dolce) e il pollo (troppo poco cotto) non è avanzato nulla, salvo le verdure. Così stamattina, al rientro da un giretto in centro, mi sono trovata con zucchine trifolate, caponatina e broccolo lesso. Urgeva liberare il frigo, specie dal broccolo, e anche in fretta, visto che il pomeriggio andrà per il cambio di stagione negli armadi. Orbene, non sarà elegante dirlo, ma il broccolo cotto, abbandonato a se stesso, emana un cattivo odore. Solo una saggia e responsabile operazione di recupero poteva liberarmi dall'odor di broccolo, senza per forza buttarlo.
In queste occasioni, quando l'avanzo chiama, il mixer ti aiuta. Ho frullato una mozzarella (ma sarebbe stata meglio una provola affumicata), ho aggiunto un bricco di panna di soia, due cucchiai di grana grattugiato, due uova, sale, pepe, un cucchiaio di curry, una mezza bustina di lievito istantaneo per torte salate e ho riflullato tutto. Ho messo le verdure avanzate nello stampo da plum cake, mescolandole, poi vi ho versato il composto sulle verdure. Il tutto in forno già caldo a 175° per 30 minuti. Ecco il pranzo, qui presentato appena sfornato, pochi minuti fa, accompaganto dal fantastico pane fatto in casa da Monica.

Quelli che... il mulino non è bianco


Questo è un marchettone gratis et amore dei: vi racconto di una bella esperienza con un produttore di farine, l'Antico Molino Rosso di Buttapietra.
In settimana sono stata a un Corso di pizza napoletana organizzato dall'Antico Molino Rosso. L'antico molino rosso, nelle campagne a sud di Verona, produce e distribuisce farine biologiche di molti tipi che, insieme al lievito madre secco, uso da tempo e trovo regolarmente in commercio nel circuito Natura sì, per quanto la varietà di prodotti presenti allo spaccio aziendale sia completissima.
Trovo molto bello che le persone che vivono con passione il proprio lavoro, dedichino altrettanto tempo e altrettanta passione a raccontare a clienti o consumatori i valori che stanno dietro la propria attività.
E' quello che hanno fatto tre belle persone di nome Luana, Gaetano e Michele, spiegandoci perché la scelta bio, avviata in primis pensando ai consumi delle proprie famiglie. E perché la scelta preferibile dell'integrale. Per coerenza con questi principi non si trova la farina 00 Antico Molino Rosso.
E' stata una bella occasione per conoscere qualcosa in più su ciò che mangiamo. Il chicco di grano, per esempio. La differenza tra farine, una legenda per comprendere cosa significa tipo zero, doppio zero, uno, due...


Peccherei di presunzione se, dopo la lezione, potessi fiduciosamente dirmi capace di replicare al primo colpo la pizza napoletana come quella preparata al Molino, tuttavia al corso ho capito almeno due cose. La prima, il perché la "mia" pizza fatta in casa non poteva venire né decente, né tanto meno napoletana. La seconda, che per fare la pizza napoletana come da Manuale, bisognerebbe (almeno per me !) prendere le ferie, una laurea in statistica e cambiare il forno.
Se tutti coloro che si occupano a vario titolo di ciò che mangiamo (che fa le politiche, chi coltiva, alleva, produce, chi vende, chi lavora e cucina...) avessero almeno metà del senso di responsabilità che dimostrano questi produttori di nicchia, sono certa che vivremmo in un mondo un po' meglio di così.
Bravi !

Per chi fosse interessato: http://www.molinorosso.com

sabato 29 ottobre 2011

Culurgiones continentali


Quando, cinque anni fa in Ogliastra, ho assaggiato per la prima volta i culurgiones fatti in casa dalle mani di una signora di Lotzorai, ho trovato questo raviolo sardo semplicemente favoloso, sia per la fattura che per i profumi che sapeva sprigionare. Un piatto semplice, se ne si considerano le materie prime, eppure così regale nell'esito. E comunque, non avrei mai pensato allora di poterli realizzare in casa. Oggi invece, complici gli aiuti che vengono dal web e una recente nonché fugace trasferta in Sardegna che ha acuito la voglia di culurgiones... eccomi per la prima volta alle prese con una specialità regionale molto distante dalle terre che abito.

Cosa serve e come ho fatto

Per la pasta:
300 gr farina di semola di grano duro
150 ml acqua
5 gr olio
5 gr sale
Per il ripieno:
800 gr patate
300 gr pecorino fresco
30 gr olio EVO
1/2 spicchio d'aglio
10 foglie di menta



In sintesi, il procedimento prevede per la sfoglia un impasto con farina di grano duro, acqua, sale e olio. Non avendo macchinette tipo nonna papera, l'ho tirata a mano. Serve un po' di sciroppo di gomito... ma si può fare !
Per il ripieno, ho cotto a vapore le patate. Una volta fredde, le ho frullate con pecorino grattugiato, olio, sale, aglio e menta.
Infine ho tagliato la pasta con un coppapasta e ho affrontato l'impegnativa chiusura a spiga, seguendo un video tutorial su you tube. Il tutto con risultati probabilmente inguardabili con occhi sardi, tuttavia moderatamente dignitosi da una prospettiva continental-padana.
Dopo la cottura in abbondante acqua salata (lasciar bollire ancora qualche minuto da quando vengono a galla), vanno conditi con un sugo semplice: pomodoro, cipolla e basilico. Altro pecorino a spolvero.
Due precisazioni mi sento di fare: il coppapasta deve essere da 8cm, non più piccolo; inoltre la farina di semola di grano duro deve essere proprio farina (non semola rimacinata).

Le fonti on line

Per la ricetta, non sono stata certo a reinventare la ruota, ma l'ho presa da un contributo pubblicato sul sito Contempora: lo trovate a questo link (con le dosi indicate, ne vengono circa 50).
Per la chiusura, anche qui aiuta il web: ho copiato quanto mostra questo video su you tube.


Dedico questo post a tutti gli amici e colleghi originari di quella splendida isola: "i Pistis" trapiantati in Veneto (Antonio, Gigi, e Gianni), e quelli che hanno la fortuna di vedere il mare aprendo le finestre (Daniela, Domenico e Silvia, nonché Andrea e Paolo).
Più che il post... dedico loro lo spirito con cui ho cercato di cimentarmi in una specialità ogliastrina che richiede mano e forse un po' di quel DNA. Con il mio corredo genetico da pianura padana, il manifacturing ha ancora margini di miglioramento. Ma apprezziate il pensiero...



Con questa ricetta conterei di partecipare al contest dedicato alla pasta fatta in casa, per il compleanno di Fusilli al tegamino, il blog di Natalia

domenica 23 ottobre 2011

Addio estate: le melanzane sott'olio.


Non si può inaugurare il primo post d'autunno vero senza almeno un post d'addio all'estate. Ciò che mi mancherà di più, saranno colori e sapori. Le erbe aromatiche pronte sul balcone.
Il tentativo di fermare l'inesorabile trascorrere delle stagioni ha due forme: il vetro o il ghiaccio. Per salutare le melanzane, scelgo la prima, con una ricetta pescata su un Sale e pepe di settembre 2008 (e che copio così com'è).

Se c'è una cosa che amo delle melanzane è il colore. Purtroppo il colore viola delle melanzane svanisce in quasi tutte le cotture. Ecco perché ho trovato sfidante questa conserva: è una delle poche preparazioni in cui il colore dell'ortaggio viene preservato.


Melanzane sott'olio con gremolata d'agrumi

1kg melanzane violette piccole e sode
2 limoni non trattati
1 arancia non trattata
2 spicchi d'aglio
1 mazzetto di prezzemolo
4-5 rametti di menta
1 litro di aceto di vino bianco
olio extravergine d'oliva
sale grosso

1. Lavate e asciugate le melanzane, eliminate il picciolo, tagliatele a fette spesse mezzo centimetro, cospargetele con il sale grosso e fatele riposare per 6 ore. Strizzatele, asciugatele, tagliatele a striscioline e scottatele nell'aceto mescolato con un litro d'acqua per 2-3 minuti dall'ebollizione.
2. Lavate bene limoni e arancia, prelevate le scorze e scottatele per un minuto in acqua in ebollizione. Scolatele, ripetete il passaggio altre 2 volte, asciugatele e tritatele fini con gli spicchi d'aglio sbucciati. Staccate le foglie di menta e di prezzemolo, lavatele, asciugatele e tritatele.
3. Mescolate scorze, aglio ed erbe aromatiche, disponete le melanzane a strati nei vasetti già puliti e sterilizzati, alternandole con il trito preparato. Coprite con l'olio, chiudete i vasetti ermeticamente e sterilizzate per 20 minuti. Fate riposare le melanzane per un mese prima dell'uso: sono ottime con formaggi e salumi piccanti. Conservatele non oltre un anno.

E' tempo di castagnaccio. Finto.


Ho capitolato, ho messo le calze. E' definitivamente ora di farina di castagne e di castagnaccio. Le riviste di cucina e i blog si stanno scatenando sul tema. E per me è tempo di presentare il castagnaccio finto. Una torta che ha sempre fatto capolino nella mia cucina con l'autunno, più per la somiglianza visiva con il castagnaccio che per la stagionalità degli ingredienti. E' in realtà una torta di pane raffermo, un dolce povero e contadino. La ricetta con cui la realizzo da tempo risale agli anni novanta, mi fu data da Elena, una compagna di università, scritta e strappata dal quaderno degli appunti di glottologia I, di cui pubblico il pizzino originale, consunto e macchiato.

La ricetta di Elena era abbastanza a occhio, come dovrebbe giustamente essere. A cucchiai più che a grammi, a colori e consistenze più che a istruzioni. Dico giustamente per due motivi. Primo perché non immagino le nostre bisnonne, nelle campagne tra Vivente e Santa Cristina, preparare torte campagnole con bilancini di precisione da narcos. Secondo, perché tutte le ricette che prevedono l'inserimento di pane grattugiato in liquidi caldi, che siano latte o acqua, sono infatti potenzialmente "vittime" dell'effetto sorpresa dato dal rigonfiamento, a scoppio ritardato, del pane, per cui la prudenza è più saggia di qualsiasi bilancia. Ho tuttavia cercato di essere più precisa.

Cosa serve e come la preparo:

1 litro di latte intero
100 gr di zucchero
250 gr (more or less) di pane secco grattugiato
100 gr di amaretti grattugiati
1 manciata di uvette (ammollate nel brandy, asciugate e infarinate)
45 grammi (more or less) di cacao amaro
2 uova
1 pizzico di sale

Far bollire il latte con lo zucchero; incorporarvi il pane grattugiato, poco alla volta, lasciando che si gonfi e badando appunto ad ottenere una consistenza corposa ma gestibile; far intiepidire il composto, poi aggiungervi le uova, gli amaretti, il sale, eventualmente un po' di brandy usato per le uvette, le uvette e il cacao fino a rendere l'impasto scuro. Mescolare per bene e versare in una tortiera imburrata e infarinata. Cuocere in forno per circa 1 ora a 200° (ovviamente regolandosi con il proprio forno).

La preparazione con il Bimby deve tenere conto delle note di cui sopra circa il rigonfiamento del pane e le quantità "a occhio". Tuttavia si può descrivere così:
1. Tritare pane e amaretti separatamente a velocità 6, mettere da parte;
2. Far bollire il latte e zucchero (da temperatura ambiente) 10'/90°/vel.2;
3. Inserire poco alla volta, dal foro del boccale, a lame in funzione a velocità 3-4 antioraria, il pane grattugiato, lasciandolo gonfiare. Far intiepidire (nota bene: con questo tipo d'inserimento del pane a lame in funzione, la quantità va pesata in anticipo, per non interrompere la miscelazione con la funzione bilancia);
4. Rimettere in funzione le lame a velocità 4-5 antioraria, e aggiungere dal foro del boccale le uova, gli amaretti, il sale, il cacao e le uvette infarinate (con eventuale cucchiaiata di brandy di macerazione); potrebbe rendersi necessario aumentare la velocità, all'aumentare della consistenza. Trasferire in una tortiera imburrata e infarinata. Cuocere in forno per circa 1 ora a 200° (ovviamente regolandosi con il proprio forno).



Amarcord: varie ed eventuali.

Questa torta piaceva molto a un amico di Pavia, titolare di un'impresa di onoranze funebri. Gli ricordava sua nonna. La preparai per lui proprio negli anni universitari, su sua espressa richiesta, e gliela portai in... ufficio. Sono passati molti anni, ma ricordo ancora la noncuranza con cui, dopo avermi accolto, me la fece appoggiare a un feretro in esposizione.

Il quaderno del pizzino era di sicuro quello di Elena, la mia compagna, ed è facile dirlo non solo per la grafia, ma anche perché era a quadretti. Io odiavo i quaderni a quadretti e, per forma mentis, le discipline matematiche e scientifiche. E la cosa non è finita con gli studi.
Domenica scorsa ho incontrato, a un pranzo in collina, una delle "prof di matematica" della scuola media che frequentavo. Si parlava della sua tecnica di cottura della polenta a microonde. Lei ci dava le istruzioni, esprimendo la potenza in watt da utilizzare per ogni singola fase. Dico: il mio microonde non ha l'indicatore con i watt, ha solo delle % di potenza. Lei mi guarda sbigottita e dice: "prendi il consumo dal libretto di istruzioni e ti calcoli i percentili". Io la guardo con una faccia vagamente idiota, di quella che non ce la può fare.

giovedì 13 ottobre 2011

Tenera è la mattina (ferrarese)...


...se ad aspettarti c'è una mini torta tenerina di Ferrara. Che di solito, la mattina, di tenero c'è ben poco. Uscire di casa è un'impresa, con qualche incognita e qualche certezza.
Le lancette dell'orologio che sembrano girare a velocità supersonica...
Il guardaroba pieno zeppo, ma non di quello che vorresti...
L'aria d'ottobre pungente ma le calze... oddio non ancora...
Il sacco di abiti per la lavasecco...
Quello della raccolta differenziata...
L'auto che chissà dove l'avevo parcheggiata ieri sera...
Il barista sotto casa che rilascia scontrini solo nelle ore pari dei giorni dispari...
Il cartello che lampeggia "code in uscita a borgo roma"...
... e, dopo 9 chilometri nel traffico, il badge aziendale rimasto a casa nella tasca interna dell'altra borsa.

La voglia di realizzare una tenerina è uno strascico della mia recente domenica passata a Ferrara, per un incontro ravvicinato con la salama da sugo.
Uno sciame sismico di calorie che, inesorabilmente e insistentemente, si parcheggerà sui miei fianchi.
Adoro questa torta, sia perché non necessita di cotture lunghe, sia perché - con quella crosticina e il cuore tenero - si presta a soddisfare piccoli peccati di gola, tagliata a quadrettini per accompagnare il caffé.

Cosa serve:
200 gr di cioccolato fondente di buona qualità, tritato
100 gr di burro
un cucchiaio di farina
una bustina di vanillina
150 gr di zucchero, meglio se zefiro o comunque a grana fine
3 uova
un pizzico di sale
uno stampo da 24 cm

Come si prepara
Accedere il forno a 180° per il preriscaldamento.
Far fondere a bagnomaria cioccolato e burro; lasciare intiepidire ma non rapprendere; incorporare, con le fruste elettriche, lo zucchero, la vanillina, tre tuorli, il pizzico di sale, la farina. Montare i bianchi a neve e unirli delicatamente al composto. Trasferire in una teglia imburrata e infarinata. Cuocere in forno già caldo per 15' (regolare i tempi a seconda della potenza del singolo forno).
Consumare responsabilmente.