Corro il rischio di passare per snob, ma non importa: su questo tema lo sono !
Quello che vado a scrivere è un pensiero figlio dell'ultima gita al mercato vintage di Valeggio sul Mincio.
Cominciai ad interessarmi di vintage e a collezionare foulard prima che la parola fosse di moda, un decennio fa; allora il vintage era vintage, e quella di Pavia era l'unica mostra mercato degna di nota. Forse l'unica proprio.
In quegli anni un foulard d'epoca di comprava a prezzi folli anche con i buchi e le macchie di muffa: era preda di giovani stilisti con l'occhio attento e il palato fine che ne avrebbero riproposto temi e colori.
Poi cominciarono a moltiplicarsi le occasioni, arrivarono i miei primi viaggi per l'Italia: Firenze, Brescia, Udine, Forlì, Orzinuovi...
In breve tempo, il vintage diventò quasi inflazionato, tanto da ingenerare sensibili rialzi nelle quotazioni degli spazi espositivi. Gli organizzatori non badarono alla selezione, ma alla partita doppia. Qualche espositore storico sparì dall'oggi al domani, lasciandomi inizialmente attonita.
Un proliferare di occasioni legate ad un crescente interesse che, come tale, per far fronte ad una domanda altrettanto crescente, hanno dovuto sconfinare in un fenomeno di costume che ha più del second hand che della filologia dello stile.
Purtroppo però, in molte di queste occasioni, specie quelle di piazza, ci vengono rovesciati, ancorché ben proposti, i capi che nostra madre ha appena buttato nei cassoni gialli dell'humana. Non c'è tempo, né spazio, per la cultura vintage, per la ricerca, per la qualità.
Oggi capisco alcune scomparse, o meglio: ci provo. Bene fece Franco Jacassi a disertare da un certo punto in poi le fiere. Sebbene (mi) manchi immensamente la sua presenza, la sua competenza, la qualità della sua offerta e - perché no - il suo fascino composto, posso azzardare ipotesi sulle ragioni del buen retiro, e - se queste sono - condividerle.
Tornerò a Pavia, certo, ma non è più il vintage di una volta.
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